2017: Iran (Nordovest)

Foto di copertina

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4, 5 Agosto

Scritto Sabato 5.8.2017

Sono le ore 10, e dopo questa prima giornata di viaggio, prima di stendermi per il giusto riposo, mi dedico al presente resoconto di viaggio. Giovedì 3, quando alle 18.00 mi è arrivato l'sms di Austrian Airlines che non aveva niente di meglio da fare che annullare il volo Venezia-Vienna (con conseguente perdita della coincidenza per Teheran), temevo che queste vacanze sarebbero andate solennemente a “farsi” benedire.

Poi invece, con una lunga telefonata in inglese, sono riuscito a farmi cambiare volo con scalo su Francoforte invece che Vienna, e io e Mauro siamo riusciti a partire. L'arrivo era però previsto alle 21.25... con arrivo molto tardi in Hotel. Venerdì il viaggio è andato benissimo, coincidenze perfette. Ho visto un film (Life) di fantascienza. Una rivisitazione di Alien dalla storia un poco scontata ma con effetti speciali veramente spaziali. Al confronto American Horror Story è una storia di educande. Poi ho avuto l'ottima/pessima idea di iniziare in aereo quel capolavoro di Matteo Righetto che è “Apri gli occhi”. Sono poco più di 100 pagine, nelle quali si viene trascinati dalle emozioni della vita dei protagonisti fino a stare male, e si viene costretti a “farsi” un esame di coscienza, a riflettere su se stessi e a quello che di veramente importante che c'è nella vita. E a piangere. Anche il giorno dopo, che è oggi, più volte.
Scusate queste virgolette su “farsi”, ma è quello che hanno in comune l'Iran e i drogati.

Prometto che le virgolette non le metto più. Sdrammatizziamo.

La procedura per il visto a Teheran è la seguente, ed è semplice.
– si compra l'assicurazione sanitaria
– si paga la tassa del visto
– si compila un brevissimo questionario (dove è necessario indicare dove si dorme la prima notte)
– si consegna il tutto e si aspetta pazientemente che venga fatto il visto
– si va al controllo passaporti
– si prendono i bagagli
Noi invece (ed è un po' più lunga):
– si va al controllo passaporti
– ci si accorge che senza visto di lì non si passa e si va a cercare dove si fa il visto
– ci si mette in fila per il visto
– ci viene consegnato il brevissimo questionario e un foglio con indicato quanto costa il visto
– lo compiliamo e torniamo in fila
– lo consegniamo e ci viene detto che dobbiamo pagare il visto in banca
– andiamo nello sportello bancario, paghiamo per il visto 75 euro a testa e prendiamo la ricevuta
– ci rimettiamo per la terza volta in fila e stavolta consegniamo il tutto e ci viene restituita una copiache avevamo dato loro in più della ricevuta del visto
– non hanno neanche guardato la nostra assicurazione
– ci danno il visto
– il controllo passaporti per stranieri, dato che è passata un'ora, è chiuso, mentre andiamo a quelloiraniano un poliziotto che si stava guardando la partita ci dice che viene lui ad aprire lo sportello
– finalmente prendiamo i bagagli
Il seguito invece bene: compriamo una sim per Mauro per telefonare e navigare, cambiamo i soldi, vediamo arrivare una nazionale juniores femminile di non so cosa e tutti fanno le foto, andiamo in bagno dell'aeroporto (cesso è più adatto), ci fermiamo a mangiare una buonissima fetta di torta dal costo di 1,5 euro in attesa del Taxi prenotato che ci porta al 7hostel, dove non riesco a fare a meno di finire il romanzo di cui prima, e poi faccio fatica a dormire, un po' per il romanzo e un po' per il jetleg di 2 ore e trenta che è il fuso orario dell'Iran, e questo periodo è troppo lungo.

Colazione sul tetto dell'ostello, pane con sesamo buonissimo, formaggino spalmato sopra e tè, tutto così buono (davvero) che faccio il bis. Afa. Caldo. (Questi periodi erano troppo corti).
Arriva il signore dell'agenzia di noleggio auto e ci consegna la peugeot 206, e si parte. La macchina non è male, un po' carente l'assenza dell'abs, devo stare un po' attento a gestire frenate brusche, ma credo che qui le auto non sappiano neanche cos'è l'abs. Infatti usciamo molto bene da Teheran senza sbagliare svincoli (non è banale) e per due volte in autostrada troviamo coda per incidente (tamponamenti).

Traffico cittadino caotico, autostrade larghissime a 3 e 4 corsie con limite 100 che tutti rispettano, forse anche perché ci sono un mucchio di pattuglie della polizia in giro. Non c'è una stazione di servizio per 60 km, non è che ne abbiamo poi tanta di benza, finalmente ne troviamo una e facciamo il pieno. Si guarda quello davanti a noi in fila e lo si imita. Benzina dal costo infimo, 0,23 euro al litro. Un po' dura capire il costo delle cose: 10 rial fanno un toman, i prezzi sono in rial o in toman ma spesso non c'è scritto se sono rial o toman, e le banconote sono in rial. In qualche maniera si combina.

Arrivati a Qazvin si inizia a salire per superare la catena montuosa sud della Alamut valley, con un passo a 2400 metri, circa 1000 metri più alto dell'altopiano di Teheran che è a quota 1300. Paesini piccoli con case solo lungo la strada in mezzo a un giallo deserto, camion che vendono meloni di vario tipo lungo la strada.

La valle dall'alto è immensa, larga probabilmente (dalla catena a nord a quella a sud) circa 40 km, lunga un centinaio. Si scende tra montagne secche e arse dal sole. C'è caldo anche in quota, sopra i 25 gradi. La strada è tortuosa e segue il profilo tormentato dei pendii. Vediamo macchine ferme. Una sorgente e un banchetto che vende miele. Numerose arnie a fondo valle. Vediamo delle macchie verdi in mezzo al giallo e marrone delle montagne. Sono oasi. C'è tanta tanta acqua a fondo valle e in alcune ripide valli Laterali. La strada scende, vediamo per la prima volta delle risaie, poi ne vedremo molte altre. Infine attraversiamo il fiume con un piccolo ponte. C'è un paesino e ci fermiamo a mangiare in un ristorante che non so se ha mai visto un turista occidentale. Non sappiamo una parola di farsi e loro non sanno una parola di inglese, ma noi abbiamo studiato i menu locali, così mi butto subito sul dizi, Mauro kebab di montone macinato con riso, contorno di formaggio acido da spalmare e pane piatto per entrambi. Il dizi è uno stufato di montone lesso, ceci, un pezzo di grasso, forse una patata, brodo con concentrato di pomodoro e limone, almeno questi sono i gusti che ho riconosciuto. Viene servito in un tinello di metallo incandescente. Prima si aspetta che si possa prendere il contenitore senza ustionarsi, poi si beve il brodo versandoselo nella ciotola con dei pezzi di pane, infine si pesta tutto con un mortaio, infine si mangia la pappa grumosa. Buonissimo. Siamo al primo piano, ci sono le scale ma non c'è ringhiera, e il precipizio ricorda i sentieri esposti delle dolomiti. Dei ripiani ad altezza di sedia coperti da tappeti con intorno cuscini sono i salottini dove si mangia. Ci siede su questi ripiani, senza scarpe sui tappeti, poggiando la schiena sui cuscini. Beviamo anche una pepsi a testa e spendiamo poco più di 6 euro e siamo sazi. Siamo a fondo valle, 1400 m di quota ed è caldo. Prendiamo 3 litri di acqua minerale e un gelato a testa spendendo complessivamente un euro. Si torna a salire e dopo circa un'ora e 8 km di deviazione dalla strada principale siamo al lago di Evan. Sembra incredibile ma in mezzo a queste brulle e aride montagne sorre tanta acqua, e si formano grandissime oasi, e paesini intorno e dentro di esse. Il lago è bellissimo, canotti, gente che fa il bagno.

Proseguiamo per l'Alamut Castle, il castello degli assassini.
Qui si sono sicuramente ispirati gli sceneggiatori di Arrow per la setta degli assassini, sia per il luogo, in cima alla montagna come nel combattimento tra Arrow e Ras al Gul, sia per il nome stesso Ras al Gul, simile a toponimi locali. Finalmente troviamo la strada, ci inerpichiamo per altri otto km fino a 2100 di quota e vediamo questa grande roccia ripidissima simile a quella delle meteore. In cima i resti del castello. Posteggiamo alla fine della strada, dopo aver superato un vecchio paesino con la sua piazza, case in legno e fango. Per gli stranieri l'ingresso è 3 euro a testa, ma al commesso pare troppo e ci fa un biglietto da 3 euro per tutti e due. Ci inerpichiamo per la lunga scalinata che costeggia questa incredibile massa di roccia. Il posto è bellissimo e spettacolare. Un signore con un bambino in spalla ci cerca per parlare con noi, e così anche molti altri turisti iraniani. Ci chiedono da dove veniamo, cosa abbiamo visto. Una signora ci presenta tutta la sua famiglia e quella della sua amica. Due sorelle, con la famiglia e il padre, lasciano il velo giù. Tutte le donne hanno il velo, ma è più ornamentale che altro, i capelli sono spesso fuori, gli abiti sono teli ricercati, spesso il taglio dell'abito o la cintura fanno risaltare la vita stretta.

Le più anziane sono vestite di nero o con colori da nomadi. Le poche donne completamente in nero fanno una certa impressione, ma sono la minoranza.
Quasi tutti i turisti sono iraniani, e vengono a visitare questa valle che al calare del sole si trasforma in un giardino dell'Eden.
Il panorama dalla cima è imperdibile, ci sono dei lucertoloni di 30 o più cm, il sole sta scendendo, sono le 6 di pomeriggio, i colori diventano spettacolari. La strada per Garmarud è finalmente sul fondo valle, ricolmo di una lussureggiante vegetazione. Il verde delle piante, il rosso delle montagne, i contrasti di colore tra ombra e sole, il cielo azzurro, le lontanissime e altissime vette ancora innevate. Ora che la luce accecante del primo pomeriggio non appiattisce più i colori si capisce davvero il fascino di questa valle.

Arriviamo nell'Hotel Navizar, all'ingresso del paese. I due signori proprietari dell'Hotel, entrambi sulla settantina, parlano con noi, ci offrono il tè, ci spiegano tutto dell'escursione. Uno dei due ci fa vedere cosa è capace ancora di fare con i birilli pesanti dello zurkaneh, e mi dispiace non essere riuscito a fare il filmino. Ci mostra un libro che ha scritto sulla storia della valle, il padre lo ha mandato a studiare al posto del lavoro dei campi, ci mostra le sue foto da giovane in palestra. In questo albergo ha soggiornato Fraya Stark, l'hotel è d'altri tempi, da turismo di inizio '900. Il posto è da fine del mondo, e Stefania capisce cosa intendo. Un turista olandese dorme qui per l'ultima notte. Domani parte per Teheran per fare il Damavand 5600m in 5 giorni, mica cotica.

Cena all'hotel, Mauro pesce di fiume, riso e una salsa scura all'arancia che sembra limone., io stufato di carne e verdure su un letto di riso. Si va in camera, doccia e bagagli per domani.

Circa 8-10 ore di cammino e tanti km e dislivello. Dopo il passo oltre i 3000 m entriamo nel versante del Caspio e chissà come sarà il tempo. Scrivo questo resoconto, so che vi piacerebbe molto vedere questa valle bellissima e vado a letto. Buonanotte.


6, 7 Agosto

Sono sulla terrazza dell'Hotel alle 18.00 di pomeriggio ed ecco il racconto delle due giornate di trekking. Il fiume scorre impetuoso e il suo suono accompagna la notte. Alle 4.45 il suono del muezzin rompe la quiete. Sveglia alle 6.15 dopo il solito stretching notturno, il braccio destro in estensione va meglio, non tanto in flessione. Ci si prepara, colazione alle 6.30 con pane piatto, tè, marmellate di fichi, carote e ciliegie e miele nelle confezioni e formaggio tipo feta. Partenza alle 7, ma in realtà 7.20. La guida, Aydar (sempre che si scriva così) è un ragazzone di circa trent'anni, con i baffi, un paio di scarpe da ginnastica e un bastone di cera d'api. Parla pochissime parole di inglese, ma sopravviveremo lo stesso e si dimostrerà gentilissimo con noi per tutte e due le giornate.

Risaliamo lungo la valle, il fiume scorre impetuoso alla nostra destra, la temperatura è sicuramente sotto I 20°. Attraversiamo il dormiente villaggio di Garmarud (1800 metri s.l.m) ed entriamo in un canyon, tra imponenti pareti franose di rocce metamorfiche/magmatiche? Dopo circa un paio di km e dopo un tornante in un punto del tutto improbabile svoltiamo verso il basso a sinistra, su tracce di sentiero che vede solo Aydar. Aydar cammina sempre alla stessa velocità, in piano nessun problema a stargli dietro, anche se si deve andare a passo veloce. In salita ci fa morire, vuole probabilmente metterci alla prova per vedere se questi due vecchietti sono veramente in grado di arrivare a Maran. In discesa ne parliamo più avanti, perché per ora si sale, ma come fa ad avere questa tenuta con un paio di scarpe da ginnastica è un mistero. Si sale su un sentiero o quanto meno lui lo riconosce come tale, poi si costeggia un lungo tratto in costa, si passa sotto delle pareti verticali da cui gocciola una alta cascata ma con poca acqua. Quando possiamo ci riempiano le bottiglie alle sorgenti. poi si sale su un sentiero così franoso che vien male solo all'idea di dover scendere di lì al ritorno. Si rientra sulla strada, stavolta sterrata, e non se ne esce più (non c'è altro modo di andare nella giusta direzione) fino a Piche Bon (2600 m di quota), e fa molto più caldo. Incrociamo autobus stile cordigliera delle Ande, le pochissime automobili che passano suonano per salutarci.

Proprio all'ingresso di Piche Bon Aydar entra in un cortile di una casa, chiacchierando con gli abitanti, e ci fa cenno di seguirlo. Ci sediamo nella principale stanza della casa, che ha come pavimento solo tappeti e come mobili nulla. Ci si appoggia a dei cuscini rigidi sulle pareti. Viene messa sui tappeti una tovaglia di plastica e ci offrono il pane piatto simile a cartone con il formaggio di pecora simile alla feta fatto in casa, il migliore mangiato finora. Scopriamo che è la casa di sua zia paterna. Il figlio della zia, un ragazzone di diciassette anni, parla inglese e così scopriamo che loro sono originari della Alamut valley ma abitano a Qazvin, la grossa cittadina capoluogo di provincia, dove il ragazzo va a scuola. Ci sono anche altri due figli della zia, un maschio giovane e una femmina sposata con una piccolissima bimba di

poco più di due anni. Ripartiamo in salita, un km ci dà un passaggio nel retro un furgoncino, poi si va per sentieri e si arriva al passo di Salambar, 3180 metri di quota, dove si trovano i resti antichi di un caravanserraglio. All'interno, diroccato, alcuni buchi sul soffitto lasciano passare i raggi di sole che producono suggestivi effetti visivi. Ci sono molti turisti, tra cui un gruppo di una decina di persone provenienti da Teheran. Una simpatica ragazza che ha avrà avuto tredici anni parla bene inglese, chiacchiera un po' con noi e viene poi a comunicarci che la famiglia ci vorrebbe a pranzo con loro. E' quasi l'una ma noi siamo con la guida che ha portato tutto per il pranzo e siamo costretti, a malincuore, a rifiutare.

Il panorama dal passo è immenso: si vedono molte montagne sopra i 4000 metri, sembrano vicine e sono lontanissime. L'Alam Kouh, quasi 4900 metri di quota, presenta a est la sua cima conica, a sud l'Alborz Sho (circa 4000) ci mostra il suo versante nord ancora innevato. A est un'altra montagna innevata e verso nord l'immensa valle che digrada verso il Mar Caspio. Non siamo abituati a queste immensità, che sicuramente nella foto non rendono. Basti dire che per andare in vetta all'Alam Kouh, che è lì vicino, e tornare giù, ci vogliono 5 o 6 giorni con pernottamenti in tenda portandosi dietro tutto quello che serve. Poco dopo l'inizio della discesa verso Salambar ci fermiamo a una sorgente naturale, riempiamo le bottiglie e pranziamo. Aydar ci prepara dei panini arrotolando il pane piatto, e all'interno ci mette una polpetta di carne e patate, pomodoro, cetriolini (poco) sottaceto e il solito buonissimo formaggio tipo feta. I miei battiti cardiaci a riposo sono un po' alti, 108, molto meglio Mauro poco sopra i 70. Arriva un gregge di pecore, il pastore si mette a chiacchierare con Aydar che pare conosca tutti. Qualche pecora si avvicina ma viene mandata via in malo modo prima che si mangi le nostre provviste. Aydar ha rotto gli occhiali da sole (starà ore, aspettando la cena, a cercare di aggiustarli), io gli presto I miei, e userò il paio a maggiore protezione.

Arriviamo a Salambar, una piccola oasi di montagna, che non attraversiamo. Vediamo la sua piccola moschea con il tetto conico ricoperto di calce bianca. Poi inizia la spettacolare discesa verso Maran. Ci teniamo in costa lasciandoci sulla destra un baratro di qualche centinaio di metri. La valle si trasforma in un canyon, discendiamo una cresta ripidissima e vediamo delle alte cascate dalla grande portata, che nella vastità del luogo sembrano minuscole.

Aydar in discesa non cammina, vola.

Poco prima di Maran incontriamo un turista francese con zaini vari e molto peso. Va a dormire a Salambar da Yuj (che è un po' sotto Maran). Gli dico che lo aspetta il tratto più duro della salita così lo tiro su di morale. Noi siamo con due zaini leggeri, abbiamo lasciato quasi tutto in albergo, ed è tutta un'altra vita. Maran (2000m) è una bellissima oasi di casette colorate nel fondo della stretta valle, con le case appoggiate una sull'altra a causa della ripidezza del pendio. Per arrivare in paese seguiamo a lungo canali di irrigazione di acqua corrente, che viene deviata dal fiume e mandata nei campi a irrigare tutti gli orti. L'acqua è così tanta in queste oasi che il contrasto con le aride montagne intorno è affascinante, così come lo è seguire le diramazioni dei fiumiciattoli che vanno a coprire ogni angolo del paese. In Iran l'acqua è potabile, a maggior ragione da queste parti, e meno male dato che stiamo bevendo solo acqua da sorgente e da rubinetto. Ci sediamo vicino all'ambulatorio del medico fino a quando arriva un signore con i baffi che sembra uscito da uno dei film di Kusturica (ma anche la nostra guida comunque pare uscita da lì) che ci porta nella loro casa. La casetta ha due stanze. La nostra è praticamente vuota, a parte un mobiletto basso con dentro i piatti e sopra i giochi dei bambini dentro alcuni vasi di soprammobili, un frigo, tappeti per terra, cuscini per appoggiarsi alle pareti, una montagna (coperta) di coperte, cuscini, materassini. Manca una finestra, c'è solo la zanzariera, e Mauro si coprirà tipo mummia per evitare gli spifferi. L'altra stanza farà probabilmente da cucina e stanza da letto della famiglia. Lavarsi non si può, c'è solo un rubinetto d'acqua esterno alla casa ma spogliarsi per lavarsi con l'acqua fredda oltre che essere controindicato per la salute lo è anche per lo spettacolo poco edificante degli eventuali abitanti che lo vedessero. Io avevo già deciso che non mi sarei lavato, e la situazione è tale che il mio convincimento rimane forte.

Mauro avrebbe voluto lavarsi un poco, Aydar fa da cane da guardia e si riesce a dare una sciacquata sperando di non dare scandalo. Credo che qui durante la stagione estiva non si lavi nessuno. Il cesso, esterno, è un cesso. Noi che siamo bravi resisteremo per i nostri bisogni fino al rientro in Hotel. Il proprietario della casa ha una moglie e due bambini, un maschietto sui cinque anni abbastanza indipendente e una piccolissima bimba di meno di due anni, un po' spaventata dalla nostra presenza. Io e Mauro andiamo a fare una passeggiata nel paese con Aydar, poi lui si ferma a chiacchierare a lungo e noi proseguiamo. Le casette vecchie erano in mattoni e fango, molte sono crollate e non sono state ricostruite. Molte case hanno una stanza esterna per tenere qualche cavallo (anche quella dove dormiremo noi). Le case moderne hanno una struttura in ferro e mattoni per le pareti.

Maran non ha strade, solo sentieri. La strada carrabile, sterrata, arriva solo fino all'ingresso del paese, ed è una diramazione della strada principale che attraversa il passo di Salambar. Il paese non ha neanche un negozio, credo che il baratto da queste parti funzioni bene. Molti ci salutano, specialmente le bambine piccole che si divertono a dire “Hello”. Tornando alla casetta una coppietta di fidanzati mano nella mano ci passa accanto. La temperatura dopo il tramonto scende da oltre 30° a sotto i 20°, e sale l'umidità. Il bimbo con la sua bicicletta riesce a fare ciclocross nello sconnesso cortile e nei sentieri adiacenti la casa. Aydar e Mauro ballano un poco in camera. Poi (o prima?) il bmbo monta un cavallo tirato dal padre che lo va a portare dal suo amico cavallo nella casetta di lamiera di fronte alla porta d'ingresso. La cena ci viene servita tardi, dopo le 9, con Mauro che sta morendo di sonno. Mentre aspettiamo la cena i bambini fanno delle incursioni nella nostra stanza, io li fotografo e faccio vedere loro le foto. La bimba è molto stupita, il bimbo fa la faccia di quello che sa come va il mondo. Mangiamo riso con pollo (questo sì che è un pollo) cotto in un sughetto di pomodoro, e panna acida che farò un po' di fatica a digerire. Si sparecchia e lì si dorme, io, Mauro e Aydar, su materassini per terra, cuscino e fondamentale copertina.

La vita in questo paese fa riflettere su quanto poco basti per vivere, e quante sono le cose che noi riteniamo indispensabili che non lo sono affatto. Si può vivere anche così. Questo non vuol dire dover rinunciare alle comodità (ci mancherebbe altro) ma sapere che esse sono comodità, senza darle per Scontate. La mattina del secondo giorno di escursione sveglia alle 6 e colazione. Mangiamo pane e formaggio e beviamo tè, ma a causa dell'ora non abbiamo fame e mangiamo un po' poco. Fa freddo ma la salita parte subito ripida e ci scaldiamo. Facciamo un altro sentiero che ripidissimo ci porta alla strada principale che collega il Caspio con la valle di Alamut passando per il passo di Salambar. A un tornante usciamo dalla strada e seguiamo una lunghissima e ampissima cresta che ci porta ben sopra Salambar. Un cane pastore ci intima di allontanarci, grosso da far paura, ma Aydar conosce anche questo pastore e va a chiacchierare con lui, e il cane (fortunatamente) ci ignora.

Alla fine della cresta Aydar si butta per un traverso su ghiaino ripido che non mi piace per niente, e preferisco (mi seguirà anche Mauro) una comoda, anche se più lunga, salita che porta alla strada sterrata principale. Arrivando al passo si sente la quota, i battiti accelerano ma va meglio di ieri, ma soprattutto mi sento un po' svuotato di energia per il bisogno di cibo. Incrociamo un signore che ci ferma per chiacchierare con il suo poco inglese. E' di un paese che non conosciamo ed è lì con 3 signore (moglie, figlia boh?). Vuole farsi un selfie con noi. Poi ci dà anche un biglietto da visita dell'hotel che se ho capito bene è gestito dalla sorella sulle rive del Caspio, casomai passassimo di lì.

Aspettiamo Aydar e pranziamo accanto al caravanserraglio. Pane piatto farcito con uova strapazzate (di quelle delle galline vere e non finte come spesso da noi), patate lesse, cipolla e l'immancabile formaggio tipo feta, e beviamo del buonissimo tè.

Aydar ci propone una discesa diretta a Garmarud senza passare per Piche Bon, ma per quella strada non ci sono sorgenti, noi siamo senz'acqua e rifiutiamo.

Scendendo a Piche Bon il sentiero è di sabbia e scendere correndo e affondando è uno spasso. A Piche Bon Aydar ci porta a casa di sua sorella per offrirci un tè, e rimaniamo lì fino alle 2 di pomeriggio. Mauro chiede se si può prendere un bus per scendere, ma niente bus di pomeriggio. Piche Bon è una oasi lussureggiante. Qui, a 2600 m. di quota, la montagna è dolce, con pendii poco ripidi, e ciò permette una coltivazione di grandi spazi tenuti a fieno. Ogni casetta ha il suo orto. Gazze volano tra gli alberi.

In discesa una scorciatoia tra tornanti, su pendii ripidi e di ghiaino e sabbia esposta non mi piace per niente, e festeggio l'arrivo sull'asfalto. Una volta arrivato alla seguente scorciatoia (che era probabilmente la ripidissima salita del giorno prima, declino l'invito). Da quel momento in poi preferisco farmi una bella corsetta in discesa su asfalto mentre Mauro taglierà i tornanti con Aydar il marziano, che con le scarpe da ginnastica è capace di andare in discesa su sentieri sconnessi a una velocità che potrebbe vincere gare di corsa in montagna in discesa solo camminando.

Agli ultimi tornanti vediamo un'altra grandiosa cascata che al confronto dell'immensità delle vicine montagne sembra un rigagnolo. Una stranissima configurazione rocciosa sembra una rosa di basalto, ma non so se lo è. Due ragazzi in motorino tornano indietro a salutare Aydar e a quel punto mi chiedo chi è quell'uomo vestito di bianco sul balcone di Piazza San Pietro che si trova accanto ad Aydar. Arrivati a fondo valle ripassiamo per il canyon poco prima di Garmarud. Una famigliola fa un picnic dall'altra parte del canyon (come diavolo avrà attraversato il fiume in quel punto?), il papà risale la sinistra orografica con un uncino in mano penso per pescare, il figlio di circa dieci anni cerca di seguirlo.

Arrivati in paese salutiamo Aydar e gli diamo un regalino, ci prendiamo due birre Delster senza alcol ma al limone e ce le beviamo in una panchina vicina alla moschea. Un gruppo di bambine piccoline continua a passarci davanti e a salutarci. Prendiamo acqua, patatine e biscotti e andiamo in albergo per le cinque, ordiniamo la cena per le 6 (abbiamo fame).

Levarci di dosso la polvere di sabbia di due giorni è un'impresa, ci facciamo la doccia e ci sciacquiamo i sudici indumenti che abbiamo indosso. Cena con un sughetto a base di vari tipi di verdure e fichi su un letto di riso, molto buono. Riusciamo a farci prenotare l'Hotel dove andremo ad Ardabil dal proprietario del nostro albergo che telefona per noi, dovremo poi chiamare l'agenzia di viaggi per dare appuntamento alla guida per salire sul Sabalan.

Arriva in hotel il turista francese del giorno prima, noi usciamo per andare a vedere il tramonto sul paese sopra Garmarud sull'altro versante, costruito su ripidi pendii. Finalmente il telefono di Mauro prende qualche tacca e telefoniamo a casa, Mauro non trova nessuno, io trovo Stefania. Gelatino allo zafferano in piazza e si va in Hotel a dormire. Mauro trova una piccola vescica sul piede, speriamo si secchi per il 10.

L'allenamento di questi due giorni ci ha dato buone sensazioni, speriamo di farcela ad affrontare la scalata...

8, 9 Agosto

9/8/2008 Ardabil

Colazione mattina presto, alle 7, poi si parte. Mete del giorno: canyon di Andej, castello di Lambesar, castello di Ghadi Rudkan, Masuleh.

Dato che siamo in auto prendiamo l'abitudine di dare passaggi a chi ce li chiede, così prima carichiamo un ragazzo, poi un signore che ci dice qual è il bivio per Andej, ma ci porta un po' lontano, così facciamo un percorso diverso per l'andata e per il ritorno. Risaliamo di quota il versante nord della valle di Alamut, tra rocce franose e baratri impressionanti, fino a entrare in una valle con molte oasi. Facciamo un po' di difficoltà a trovare la strada per ridiscendere la valle ma ci riusciamo, così passiamo un un canyon dalle configurazioni rocciose simili a quelle delle meteore della Grecia del nord. Verso mezzogiorno siamo al castello di Lambesar, anche questo difficile da trovare, in mezzo alle montagne. Scegliamo un sentiero che parte un po' più in alto e così troviamo le rovine del castello senza farci molti metri di dislivello in più sotto il sole. C'è molto caldo e il sole picchia forte sulla testa, ci godiamo poco il paesaggio. Numerose rampe di scale conducono in cima alla collina dove sorgeva la fortezza in mezzo a un ambiente semidesertico. Strane piante grasse e lucertole.

Ci fermiamo al paese più vicino che, pur grande per la media della valle di Alamut, non ha alcun ristorante. Prendiamo da mangiere gallette e formaggio in un negozietto e mangiamo in una panchina all'ombra sulla strada principale. L'auto è un forno.

Il viaggio è lungo e dobbiamo percorrere molta strada. Diamo un passaggio a un signore a fondo valle e risaliamo le alte montagne prima per tornanti poi per cresta, poi ancora più in alto fino al passo a quota 2200. Si ridiscende nell'altopiano a sud per una valle con numerosi posti per picnic, dove molti iraniani si stanno passando la giornata (lasciando purtroppo le immondizie dove capita). A Qazvin caserme, parco di divertimenti, tutto accanto alla strada, poi imbocchiamo l'autostrada per Rasht, lunga e monotona fino a che non si inizia a vedere un paesaggio differente e più ondulato, con colline e colline di frumento, per decine e decine di chilometri a perdita d'occhio. Si inizia a scendere per una valle verso Rasht. Lavori di costruzione della ferrovia.

Dopo km e km di nulla l'autostrada diventa statale prima di tornare autostrada, e in questi 5 km di statale c'è un paese formato solo da negozi, su tutti e due i lati, tra cui non si possono non notare barattoli enormi di olive.

Le abbiamo assaggiate le olive di qua, in alcuni ristoranti, hanno quel leggero sapore di acidulo che ricorda quelle fatte in casa; non sono dolci come le nostra. Deliziose.

Scendendo cambia il clima e si trasforma in mediterraneo, ma avvicinandosi verso il mare il clima cambia ancora e diventa tropicale. Sembra di essere in Malesia, forse un po' meno umida. Anche le montagne, completamente ricoperte di boschi, fanno la loro parte. I negozietti, il traffico, la vegetazione: sudest asiatico. Avevo letto nel sito del turismo dell'Iran che qui in Iran ci sono tredici climi differenti, ma quando li vedi con i tuoi occhi rimani colpito.

L'obiettivo della giornata è visitare Ghadi Rudkan (castello) e il paese di Masuleh, entrambi raggiungibili da Fuman. In una vegetazione rigogliosa arriviamo a Fuman, famoso per i biscotti ripieni di pasta di noci. Lungo la strada ci sono numerosi di questi negozietti che sfornano biscotti Fuman-ti a tutto spiano. Ci fermiamo in centro per fare una passeggiata. Il caldo è tropicale e non mi viene voglia di prendere nulla, Mauro assaggia una sfogliata al miele e un paio di biscotti fatti al momento. Ci sediamo in una Chaykaneh, le sale da tè frequentate soprattutto da uomini. Ci invitano al loro tavolo per chiacchierare alcuni signori, anche se non sanno nulla di inglese. Passa casualmente un altro signore e lo chiamano tutti: infatti è architetto ed ha vissuto un periodo in Canada dove aveva studiato da architetto. Ripartiamo per Ghadi Rudkan. Seguiamo le indicazioni per 25 km, dapprima in piano nella foresta tropicale, poi si entra in una valle e la si risale. La strada finisce. Che sia il posto giusto? C'è un casello di un parcheggio a pagamento. Paghiamo ed entriamo. Tante tante tante macchine, forse un migliaio in un enorme parcheggio di fondo valle. Posteggiamo e arriviamo alla fine del parcheggio con una breve passeggiata ed entriamo in un viale mattonato lungo circa 100 metri con negozietti a destra e a sinistra. Che sia il posto giusto? Comunque il luogo è incredibile. La strada termina e inizia un sentiero in pietra nel bosco a fondo valle. A destra e sinistra del sentiero i negozi continuano, dolci, vestiti tradizionali del Gilan (questa zona dell'Iran) souvenir, tutto dentro la foresta tropicale con il fiume che scorre in basso. Parco con tavoli per picnic alla loro maniera, come i tavoli dei loro ristoranti ma coperti.

Migliaia di persone passeggiano su e giù su questo sentiero in pietra che risaliamo. Dopo circa 10 minuti i negozi si diradano e il sentiero di pietra diventa sempre più ripido. Forse non è il castello? Lo è, e ci arriviamo con circa 320m!!! di dislivello. Il castello è chiuso, è quasi l'ora del tramonto. Esce solo gente ma non entra nessuno. Ci sono fuori una ventina di persona e ogni volta che esce qualcuno cercano di convincere le quardie a farli entrare nonostante l'ora di chiusura sia probabilmente passata. Fortunatamente ci riescono e riusciamo ad entrare anche noi. Il posto è estremamente suggestivo. Il castello copre interamente un passo tra due valli nella foresta tropicale ed ha le mura del cinquecento perfettamente conservate. Ritornando alla valle attaccano bottone con noi (tra gli altri) due famiglie di fratelli ingegneri chimici, uno dei due lavora anche con aziende italiane. Alla fine vogliono fare la foto con noi. E' tardissimo e dobbiamo percorrere circa un'ora di strada per arrivare a Masuleh, che è uno dei più caratteristici paesi dell'Iran. Torniamo a Fuman e prendiamo la strada per Masuleh. Mucche passeggiano tranquillamente al buio in mezzo alla carreggiata. Mentre rallento la macchina dietro mi supera, e per farlo evita di pochissimo le mucche al centro della carreggiata. Notiamo altre mucche qua e là, ma brucano solitarie. Anche qui la valle si restringe e si sale di quota. Arriviamo all'ingresso del paese, un ragazzo ci propone una stanza, ma non sa l'inglese, dunque mi mette in contatto con un signore a Masuleh con il quale parlo più volte per telefono. Dopo aver contrattato accettiamo. La casa è in centro del paese. Parcheggiamo, prendiamo le chiavi ed andiamo a cena. Il paese di notte è molto suggestivo, pieno di negozietti ed è abbarbicato sul fianco di una montagna. I tetti di un livello sono le strade del livello superiore, e una serie di scale da paese delle fiabe collegano un livello all'altro. Durante il giorno il paese è affollato dai turisti, ma la sera è tutto per noi. Mangiamo in un ristorante riso e una salsa di melanzane, pomdodori e aglio deliziosa, tutto per 7 euro entrambi, questi sono spesso i prezzi di qui. La mattina dopo colazione e passeggiata per il paese prima dell'arrivo dei turisti. Telefoniamo all'agenzia di viaggio per concordare l'appuntamento con la nostra guida per il Monte Sabalan. Tanta strada, ci fermiamo poco ad Astara per mangiare, sul Mar Caspio vicino al confine con l'Azerbaigian. Mauro fa una passeggiata in spiaggia. Io lo aspetto all'ombra, troppo caldo.

La strada da Astara sale tra montagne boscose al confine con l'Azerbigian. Per molti chilometri sulla destra filo spinato, casermette e torrette di guardia. Sulla sinistra famiglie che fanno picnic. Baracchini che vendono frutta lungo la strada. Mauro compra un bicchierino di more. Poi ci si allontana dal confine c il paesaggio cambia nuovamente, diventando più secco. La pianura per Ardabil è gialla, gran parte del terreno è coltivato a frumento. Arriviamo nel pomeriggio ad Ardabil, dove i nomi delle vie sono un optional, e perdiamo parecchio tempo a trovare l'hotel Negin, dove ci sistemiamo. Diamo appuntamento alla guida per discutere le ultime cose, la sera alle 7. Intanto andiamo a vedere in centro, a 5 minuti a piedi dal'hotel, Il mausoleo di Safi sheikh, patrimonio dell'Unesco, una serie di cortili e moschee del 1300 che sembrano costruiti ieri. Splendide le decorazioni in mattonelle colorate. Alle sette conosciamo Hamid, un ragazzone con i baffi, che ci porta in giro per la città a vedere il lago a sudovest. Intorno al lago una pista da corsa a tre corsie che ne segue il percorso, un trenino che fa il giro panoramico, tantissime famiglie che passeggiano e un parco giochi per bambini enorme. Le luci della sera rendono il tutto affascinante.

Questa cittadina in particolare, di cinquecentomila abitanti, ma anche tutto l'Iran, trasmettono serenità e pace.

Concordiamo le ultime cose per la partenza della mattina dopo e ci facciamo lasciare da Hamid nella zona di un ristorante segnalato dalla lonely planet. Mangiamo molto bene riso e un piattino di carne di agnello, ma i camerieri non sembrano molto simpatici. Ci sediamo sui tavoli loro da ristorante, dove si mangia seduti e scalzi. Nell'ultima saletta in fondo tre ragazze e un ragazzo festeggiano qualcosa. Loro escono prima di noi. Paghiamo e usciamo e due delle ragazze regalano una rosa ciascuno a me e a Mauto (capito donne, a noi una rosa finora non ce l'aveva mai regalata nessuno). Ci facciamo una foto insieme e poi prendiamo un taxi: vogliamo vedere lo Zurkaneh alle 9, dall'altra parte della città vicino al nostro Hotel.

Un traffico terrificante. Decidiamo di pagare ed andare a piedi. Arriviamo alla chiesa di Maryam, sconsacrata, dove praticano questo/a sport/arte, che si trova a soli due minuti a piedi dall'hotel. All'inizio ci sono solo due ragazzi che fanno delle prove, all'interno di una piccola arena ottagonale larga circa 6 metri al centro della chiesa. Poi arriva altra gente, tra cui il corpulento (oltre i centocinqunta chili) cantante. Inizia l'allenamento. Ci offrono del tè. Il cantanta suona un tamburo con maestria intonando canti coranici, mentre al ritmo della musica fanno degli esercizi di riscaldamento. Al centro c'è il più bravo, c'è una gerarchia non scritta. Mano a mano che arrivano altri atleti chiedono al cantante il permesso di entrare nell'arena, baciano gestualmente la terra ed entrano. L'arena si affolla, qualcuno resta fuori. L'atmosfera, tra canti e esercizi, è ipnotica. L'allenamento è di una intensità sconvolgente. Quando usano i birilli vedi alcuni che riescono a compiere movimenti perfetti con birilloni del peso di 20 kg ciascuno. Il capo lascia spazio ad altri per tenere alcuni esercizi, poi prende un oggetto di ferro (che scopriremo pesare ben 40 kg) e lo agita sulla testa come un fuscello. Alla fine esercizi di rotazione, movimenti tipo i dervisci. Uno dei ragazzi che era arrivato all'inizio è bravissimo. Poi esercizi con due scudi pesantissimi, termina l'allenamento. Alcuni ci chiedono da dove veniamo e un ragazzo ci invita a cena a casa sua, ma domani ci alziamo presto.

10, 11 Agosto: monte Sabalan

Hamid viene la mattina in taxi, carichiamo tutta la roba sulla nostra auto e si parte alle 7. 100 km per Shabil. La strada a nord del vulcano è molto fertile e ci sono molte zone coltivate a frutta e verdura, tutto in un paesaggio gialo e assolato. Molti vigneti. Hamid mi spiega che quasi tutti fanno sia uva da tavola che vino, ma alla polizia dichiarano di fare solo uva da tavola. Se conosci qualcuno che produce uva è facilissimo trovare del vino, anche se ovviamente (essendo illegale) è molto costoso. Ci fermiamo in una chaykaneh a bere del tè e a far colazione con pane, crema di affioramento del latte e favo di miele (Ardabil è famosa per il miele in tutto l'Iran). Si riparte e si arriva a Shabil, quota 2700 metri. Le quote delle guide sono indicative, quelle che darò io sono più precise grazie all'altimetro di Mauro. Shabil è, fondamentalmente, un parcheggio custodito e un luogo di cambio mezzi di trasporto. Da qui partono le Jeep per arrivare al campo base, l'Hosseinyeh shelter, a quota 3700 circa. Noi per acclimatarci preferiamo andare a piedi. Il peso dello zaino è tanto, ci sono da portare anche tenda, materassino e sacco a pelo. Un vento fortissimo proveniente da est non facilita la salita. Partiamo verso le 10 e all'inizio Hamid sembra andare molto piano, ma superati i tremila la sua andatura lenta è ottima, sia per il peso sia per l'altitudine e la mancanza d'aria. Alle 14 arriviamo all'Hosseinyeh shelter. E' una specie di santuario ormai sconsacrato e adibito a camerate, ormai tutte piene. Fuori tende e jeep ovunque. Ma quanta gente c'è? E continua ad arrivare. Servizi a caduta nel buco, 4. Rubinetti per l'acqua potabile, 1. Per lavarsi, 0. E continua ad arrivare gente e a montare tende dappertutto. Parliamo di una città che si forma a quota 3700. Domani è venerdì, che per gli iraniani è la nostra domenica.

Un cartello indica di stare attenti agli orsi, a quanto pare ci dicono che ce n'è uno ma non è pericoloso, viene solo per farsi dare da mangiare dai turisti.

Montiamo la tenda.

Mangiamo qualcosa per pranzo verso le 3, pastasciutta di cui mi godo la parte croccante attaccata sul fondo della pentola. Io e Mauro decidiamo di salire un po' lungo il sentiero e arriviamo quasi fino a quota 4000 per l'acclimatamento. Torniamo giù e vicino alla nostra tenda ci sono 3 ragazzi iraniani gentilissimi che ci offrono dolcetti e tè, con i quali saliremo in gruppo insieme il giorno dopo. Sono un ufficiale e due sottufficiali dell'esercito iraniano e si mostreranno per tutto il viaggio di una cortesia difficilmente spiegabile a parole. Parlo con un ragazzo francese, che avevo incontrato con la moglie quando siamo saliti a 4000 m poche ore prima. Lui e la moglie si sono licenziati per viaggiare per un anno: Mosca, transiberiana, 1 mese in Mongolia, poi trekking in Tibet, sudest asiatico, tra cui un motorino affittato in Laos e poi hanno girato il Vietnam in motorino, per chi sa cosa vuol dire non aggiungo altro, e adesso erano da un po' in Iran, poi si vedrà.

A cena io mangio pochissimo, fatica e non ho fame ma mi costringo a farlo. Andiamo a letto alle 8.
La notte fa freddo, pochi gradi sopra zero, il sacco a pelo e stare vestiti non basta, Mauro si avvicina a me come fossi un riscaldamento e resta per me un piccolo spazio tra Mauro e la tenda. Lui dorme male, russando e svegliandosi spesso. Io non dormo proprio, notte quasi in bianco. Urla e inseguimenti dell'orso durante la notte, per ore. Sono tentato di uscire per vedere l'orso, tanto comunque non dormo, ma il freddo cane mi dissuade. Mi manca l'aria, ma in maniera lieve, non come anni fa in Marocco. Per respirare devo stare sveglio, se sto per addormentarmi mi sento leggermente soffocare. Mi consola il pensiero che mi alzerò alle 3.15. Vado in bagno verso le due. Una fila interminabile di torcie indica la via che dovremo prendere, saranno già partite alle 2 di notte centinaia di persone. Il cielo è terso, si vede la via lattea. Torno a letto per scaldarmi, alle 3.15 ci sveglia Hamid. I ragazzi iraniani ci aiutano a smontare la tenda. Lasciamo tende e sacchi a pelo in un deposito del rifugio, mangiamo qualcosa perchè si deve e per le 4.15 partiamo.

Siamo in gruppo io e Mauro, i tre ragazzi iraniani e due ragazzi francesi poco più che ventenni.

Ho bruttissime sensazioni, mi manca l'aria anche a riposo e devo fare un forte respiro ogni tanto per ristabilire l'equilibrio; per fortuna la salita è lenta (bravo Hamid a dare il ritmo) e riesco a stare al passo. Una inspirazione, un passo, una espirazione un passo. Risaliamo al buio un ghiaione di sassi e ghiaia scuri, fino ad arrivare dove eravamo arrivati il giorno prima, poi il terreno, sempre uguale, devia verso destra, prendendo una larghissima cresta. Fa freddo, mi manca l'aria. Che cazzo ci faccio qui? Non vedo l'ora che spunti il sole.

Siamo in fila indiana neanche a Rimini a Ferragosto. Si vedono giù le jeep che portano ancora gente da Shabil al rifugio per coloro che partono dalla pianura di notte per cercare di fare la vetta in giornata. Hamid ci dirà poi che sicuramente ci sono più di tremila persone su e giù per il sentiero. Non so se vi rendete conto, tremila!

Finalmente spunta il sole, l'alba è bellissima, sotto il Sabalan, molto sotto, verso est c'è un mare di nuvole. Non c'è un filo di vento, finalmente ci si inizia a scaldare verso le 7 e la situazione inizia a migliorare.

I colori all'alba sono splendidi e le rocce rosse del Sabalan sono il giusto soggetto, grazie al contrasto con il blu del cielo.

Hamid ci mostra una ragazzina di dodici anni che sale verso la cima, poi la vedremo seduta a riposare, non so se ce l'ha fatta.

Facciamo numerose pause, mangio biscotti per darmi un po' di energia. La temperatura sale, superiamo i 4000 e vediamo qualcuno ogni tanto disteso per mancanza d'ossigeno. Un signore porta giù sua moglie sulle spalle, sei uomini portano giù n'altra persona su una barella improvvisata. Questa gita domenicale è dopotutto un 4800, ma molti la affrontano con l'attrezzatura e l'improvvisazione di una passeggiata al lago di Barcis. Scarpe da ginnastica, tuta e niente da mangiare e da bere. Mah!

Con il tempo che passa il metabolismo si alza e mi sento meglio, il respiro è più regolare.

Però l'aria è poca e passo a due inspirazioni ed espirazioni complete ogni 3 passi, risalendo faticosamente il ghiaione. Verso le 8 siamo a quota 4400 e facciamo una pausa. 200 metri di dislivello l'ora, che neanche Filippo e Giovanni vanno così piano. I ragazzi iraniani hanno portto l'occorrente per il tè, scaldano dell'acqua e ce lo offrono, insieme a frutta secca.

A 4600 risaliamo ghiaino, faticosissimo. Ogni volta che saliamo un sasso di 40 cm in un passo solo dobbiamo fermarci a riprendere fiato. Le rocce intorno sono rosse, bellissime, tra cui una detta Mihrab, a quota 4750, dove dobbiamo passare. Un respiro completo, un passo. Arriviamo al Mihrab, da qui solo un falso piano fino alla cima, è fatta, ci battiamo il pugno (si fa così, non il cinque). La vetta, con il lago è qualcosa di indimenticabile. Sarà la bellezza del posto, sarà l'eccitazione per avercela fatta che io e Mauro ci sentiamo meglio di quando siamo partiti. Nessun problema di mal di montagna e, a parte l'aria fina, respiriamo anche bene. Il lago durante l'inverno è ghiacciato, e anche adesso siamo poco sopra zero. Intorno una cornice di rocce che lo delimitano. Io salgo in vetta, poi anche Mauro, ma in cima non va quasi nessuno, per tutti l'obiettivo è il lago. La vetta però merita, sia per il paesaggio verso ovest, sia per il lago dall'alto. Siamo così in alto che pare di essere su un aeroplano. Il lago è a quota 4811, la vetta è probabilmente più alta del Monte Bianco. Mi merito un po' di pistacchi. Faccio delle foto a Mauro che va in vetta dopo di me e poi molte foto di festeggiamenti. In riva al lago ci sono centinaia di persone. Si scende. Sto bene, il ginocchio e le gambe sono in gran forma e spesso piuttosto che il sentiero preferisco scendere per rocce. Arriviamo al rifugio per le 2, c'è una fila interminabile per prendere le jeep per scendere. Sono in fila con i due ragazzi francesi, di Parigi, studiano il farsi in Iran e uno dei due è qui già da qualche mese e parla il farsi con disinvoltura. Il problema è che Ardabil e la sua provincia sono detti Azerbaigian e le persone parlano azero. Attenzione: non ci sono discriminazioni verso gli armeni cattolici che vivono nel nord o gli azeri, sono tutti iraniani. Il nazionalismo è più forte sia delle religioni praticate che delle barriere linguistiche.

Hamid trova una jeep privata che ci porta giù. La discesa in jeep fino a Shabil è probabilmente la parte più pericolosa del viaggio. Ci diamo appuntamento con i due ragazzi francesi e la moglie di Hamid al nostro Hotel, loro prendono un Savari (tipo taxi, per capirci), noi andiamo in auto con Hamid. Mauro è cotto e decide di non venire con noi per riposarsi.

Hotel, doccia e scendo giù dove trovo Hamid, sua moglie e i due ragazzi francesi. Con la macchina di Hamid andiamo al ristorante.

Hamid è figlio di un giudice del tribunale militare, lavora come insegnante di inglese presso una scuola privata (le scuole pubbliche sono troppo permissive e lui non trova soddisfazione a insegnare lì), fa la guida turistica e alpina sul Sabalan e fa il fotografo. Ci fa vedere le foto del matrimonio (si è sposato tre settimane fa con sua moglie 'Uru, una ragazza di venticinque anni bellissima. Ci ha raccontato di come sia riuscito a sposarla nonostante l'opposizione della famiglia di lei perchè anni fa non veniva considerato affidabile in quanto non aveva un lavoro stabile nè l'automobile. Ci ha detto di aver lavorato duro per guadagnare e ottenere l'approvazione della famiglia di lei.

Parliamo di una coppia, Hamid e 'Uru, alto borghese. Lei veste ricercata, dall'abito al velo alle scarpe, ed è dispiaciuta di non poter essere venuta sul Sabalan che è il suo sogno, ma stavolta Hamid ha detto che non poteva portarla per non confondere lavoro e famiglia.

Ci mostra in auto delle configurazioni rocciose più giù di Shabil, veramente molto belle, dove ha portato più volte sua moglie per convincerla a fidanzarsi con lui. Ci mostra delle foto artistiche che ha fatto a sua moglie e alla sua modella di foto, e ci dice che la moglie è un pò gelosa, anche se non ne ha motivo.

Vediamo le stesse serie tv, dal Trono di spade a Westworld, che scarica da internet perchè per la censura non si potrebbero mostrare per alcune scene troppo esplicite, ma tanto le guardano tutte lo stesso.

Durante il pranzo/cena (dopo non ho mangiato quasi nient'altro fino a colazione) prendiamo spiedini di carne di montone e salsiccia di carne di montonte cucinate alla griglia, uno sformato di riso con sopra la parte croccante con patate, verdure crude tra cui un peperoncino malefico anche per me, succo di limone e Doug, uno yogurt e acqua con erbe, da bere come bevanda durante il pasto.

Si parla di politica e così imparo qualcosa. Hamid ci racconta che rispetta la guida suprema Khamenei, che è persona di grande cultura, ma non è d'accordo con lui su quasi nulla. E' molto contento dell'elezione di Rohani, ed è convinto che sia la persona giusta per portare avanti il paese. Da come ci parla delle riforme di Rohani penso che sia meglio della maggior parte delle nostre pippe di politici. Non dice peste e corna di Ahmadinejad perchè la sua faccia esprime da sola il pensiero. Ci dice che metà della popolazione non è religiosa, l'altra metà lo è, e metà dei religiosi sono molto religiosi (lui dice cattivi religiosi), in pratica estremisti di destra. Auspica che alla morte di Khamenei si decida di abolire il ruolo di guida suprema. Ci dice che in realtà i maggiori problemi dell'Iran non sono esterni ma interni, la politica economica interna deciderà il futuro, e una crescita economica favorirà le forze riformiste. E' responsabilità della popolazione riuscire a fare in modo che ciò accada, votando bene e facendo sentire la propria voce.

Al termine del pranzo Mauro si sente più riposato a va a mangiare. Io cammino dieci chilometri per la città e vedo negozi di alta sartoria e bancarelle, tanti negozi di miele, favo, caramelle. In un supermercato di soli dolciumi una famiglia compra tanti dolci quanti ne consumiamo noi in un mese o due. Davanti a un centro commerciale c'è un uomo vestito da papera e tutti i bambini fanno la foto con lui. All'ultimo piano del centro commerciale c'è un parco giochi per bambini. Cinema, negozi di elettronica, scarpe firmate. L'impressione è di grande serenità. Stupidamente non ho portato la giacchina perchè la temperatura sarà sotto i venti gradi, e con l'arietta fa fresco. Compro un paio di occhiali (ho perso i miei da sole stupidamente da qualche parte a Masuleh), una mappa stradale in Farsi dell'Iran del nordovest, una bevanda all'arancia e una tavoletta ci cioccolata al pistacchio.

Nella libreria locale parlano con me e mi chiedono (domanda ricorrente) cosa penso dell'Iran. Io so che la pessima impressione che si ha dell'Iran dell'occidente è dovuta ai media, perchè l'Europa è alleata degli Stati Uniti che fanno la loro politica a loro vantaggio, e così rispondo ogni volta. Gli dico anche che purtroppo molte persone credono a ciò e che invece la realtà si vede che è ben diversa. Ardabil ha cinquecentomila abitanti e si passeggia la sera con grande tranquillità, ed è ben più ordinata di molte città arabe che ho visto, e forse anche di alcune città dei balcani. Mi faccio a piedi il passeggio dove i giovani di solito si incontrano per conoscersi e parlare, visito la piazza dove si trovano i negozi più costosi. Poi torno in hotel e Mauro mi racconta che si è mangiato pizza coca con 2 euro.

E anche per oggi è tutto.

Alla prossima.

P.s. 9 ore e mezza di sonno di fila senza svegliarmi non me le facevo da tempo.

12, 13 Agosto

E' la mattina del 12, abbiamo fatto una dormita da chilo e una colazione adeguata in albergo con pane fresco, formaggio (quello che si fa con l'affioramento del latte) e miele di Ardebil.

Mauro ahi ahi ahi si è rotto un pezzetto di dente. Hamid ci dà appuntamento alle 10 per portarci da un suo amico dentista per un consulto, giusto per vedere se è possibile tirare avanti così fino alla fine della vacanza o se serve assolutamente fare qualcosa. Mauro è preoccupato che il dentista gli trapani il dente fino al mento stile film horror e continua a ripetermi "mi raccomando non deve fare niente me lo deve solo guardare traduci bene sei sicuro di aver capito diglielo giusto che cosa ha detto no non me lo deve toccare" ma il consulto è positivo, a casa ci arriva e il dentista è un pacioccone che lo rassicura e neanche prende un toman. Ringraziamo e salutiamo Hamid, passeggiata per il Bazar che ieri venerdì era chiuso, acquisto pistacchi e si parte. Obiettivo della giornata: rilassarsi. Si va verso nord a Meshgin Shahr. Avremmo potuto andare a Sareyn per le terme, ma ci sono anche a nord anche se più piccole e sono nella nostra direzione.

Costeggiamo il Sabalan prima a est e poi a nord, tra campi coltivati a frumento e zone più verdi. Meshgin Shahr è famosa per il ponte sospeso più lungo del mondo, da cui si vede benissimo il monte Sabalan. Le indicazioni fanno discretamente schifo, ma troviamo il ponte. Qualche folle si lancia per il volo su un cavo tipo parchi avventura per 800 metri da un lato all'altro della valle, ma io declino anche se Mauro era tentato. Il ponte in mezzo ha il pavimento in vetro, discretamente impressionante. Dall'altro lato del ponte parco giochi gonfiabili, girno in asinello, ristorante, negozietti eccetera. Ritorniamo, pizza Mauro gelatino io e si va alle terme. Arriviamo al piccolo stabilimento di Ualazir che ci aveva consigliato Hamid.

Piscina interna a 37°, esterna a 40°, sauna a una settantina e un massaggiatore che scrocchia Mauro per un'oretta mentre io mi faccio una chiacchierata con due ingegneri (uno lavora a Dallas) e un avvocato in piscina.

Così rilassati in serata arriviamo a Kaleybar, dove troviamo un alberghetto molto economico: camera senza bagno a 13 euro per tutti e due. Con questo ci siamo riposati.

Il 13 si passa alle cose serie, la mattina andiamo a visitare il castello di Babak. Perdiamo mezz'ora a capire da dove parte il sentiero, ma poi ci avventuriamo nella valle. Ci dicono 2 o 3 ore per arrivare in vetta, ma noi siamo ottimisti. A torto. Il sentiero è decisamente un EE (escursionisti esperti) e non un EEA (escursionisti esperti dove ti porta Aydar), ma ogni tanto richiede capacità di orientamento e qualche tratto di roccia in cui si devono poggiare le mani, anche se non è mai esposto. Ci fermiamo una volta perchè ne abbiamo bisogno e poi ripartiamo. La salita spezza le gambe e il fiato e alla fine sono 800 m di dislivello. In cima troviamo una famiglia dell'Iran Azerbaigian, ossia della regione iraniana abitata dagli azeri. Il papà insegna letteratura, la moglie alla primaria, il figlio grande si vuole iscrivere alla fine dell'estate a medicina, il piccolo ha 14 anni e va a scuola. Sono proprio simpatici, tutti e 4, ed hanno un bel sorriso. Abitano vicino al confine con la Turchia e stanno andando in vacanza al mare ad Astara sul Caspio. Ci dicono che lo stipendio di un insegnante è circa mille dollari al mese, che con il costo della vita di qua è come se noi prendessimo 3000 euro.

Il castello è in una posizione incredibile ed inaccessibile, arroccato isolato su un pezzo di roccia strapiombante su tutti i lati a 2300 metri di quota, ed è considerato un simbolo del nazionalismo azero. Siamo gli unici ad esserci inerpicati per la via più difficile, ma insomma, mica siamo due pivellini!

Il ragazzo mi dice che vuole studiare medicina anche perchè i medici prendono di più degli insegnanti, e che il padre ha una vera passione per l'insegnamento. Loro sono venuti su al castello per la strada più breve, con una jeep che li ha portati a circa un chilometro e mezzo e 150 metri di dislivello dalla vetta. Ci offrono di venire giù con loro, e accettiamo perchè io di ripercorrere quella faticata di sentiero con le difficoltà della discesa non ho proprio voglia. La salita sì, ma la discesa se posso la evito. Scendendo il padre ci offre un tè in una baracchino che lo vende e quando sta per pagare mi mostra la banconota con Khomenei e mi dice bad e donkey con me e sua moglie che gli diciamo di parlare piano! Anche questo fa parte della voglia di indipendenza di questa parte dell'Iran. La jeep non li ha aspettati, arriverà. Aspettiamo anche noi, la jeep ci porta all'auto e loro non accettano che noi contribuiamo alle spese. Li salutiamo e ci mangiamo, vicino a dove abbiamo lasciato l'auto e a dove parte il sentiero, spiedini di pollo e di pomodoro cotto e riso serviti con peperoni verdi freschi, cipolla e lime. Ci aspettano un bel po' di chilometri per la valle dell'Aras.

Un po' di geopolitica.

La valle dell'Aras, che ai tempi antichi era una via di passaggio e commercio tra l'oriente e l'occidente, ma anche fronte di guerra, è poi diventata il confine tra l'Iran e l'Unione Sovietica. Sul lato sud scorre la strada in territorio iraniano, a nord scorreva la ferrovia (in gran parte in gallerie) dell'Unione Sovietica. Al dissolvimento dell'URSS il nord è stato suddiviso tra Armenia e Azerbaigian. L'Armenia è andata in guerra nel 1989 contro l'Azerbaigian per conquistare una enclave azera a maggioranza armena, il Nagorno-Karabakh, per difendere gli armeni (così si dice) dalle discriminazioni degli azeri. Ora il Nagorno-Karabakh è occupato dall'Armenia che lo considera suo territorio, e una parte del territorio azero è rimasta staccata dal resto dell'Azerbaigian, ossia il Naxcivan, che è ormai una nazione a sè, anche se formalmente Azerbaigian, in quanto non ha più confini con la madrepatria.

Per arrivare alla valle dell'Aras saliamo fino a un passo, a 2100, poi scendiamo fino a 500 e risaliamo questa valle bellissima e stretta, tra montagne imponenti, coltivata a fondo valle. L'Aras è il confine tra Iran e Azerbaigian, e su entrambi i lati della valle ci sono casermette, punti di avvistamento, e si deve essere n po' accorti nello scattare le fotografie senza incorrere nelle ire dell'esercito di turno. Sul lato russo il passaggio della ferrovia è crollato in più punti, restano solo macerie e alcuni villaggi fantasma. La valle si restringe e si entra in un canyon tra montagne imponenti e che mettono soggezione. I paesaggi sono bellissimi e inquietanti allo stesso tempo. Un itinerario paesaggisticamente indimenticabile.

Solo che non c'è un distributore neanche per sbaglio da oltre 120 km e abbiamo meno di un quarto di benzina, che troveremo senz'altro a Jolfa, ma mancano ancora 95 km.

Andiamo a visitare il villaggio di Oshtebin, con le casette arroccate sul fianco di una montagna in una valle laterale. Le donne sono vestite in maniera diversa e la popolazione è molto riservata, non so se hanno mai visto un turista. Galline, strade con scalini in salita con rivoli d'acqua in discesa. Una signora e delle bambine stanno curando dei piccoli frutti e ce li offrono, io offro loro dei pistacchi e le bambine se li prendono felici. Poi però quando chiedo loro di fare una foto scappano tutte aiuto aiuto.

Ora il confine nord non è più con l'Azerbaigian ma con l'Armenia.

Ci fermiamo verso l'uscita del canyon, le montagne sono minacciose, con creste zigrinate e incombenti, impressionanti. Si racconta che su queste creste si è incagliata l'arca di Noè.

Al di là del fiume, a venti metri, ci sono paesini e campi coltivati e delle dighe di cui vediamo solo parte inferiore. Ci fermiamo a visitare un hamman storico di non so che secolo, restaurato con stucchi e disegni colorati. Alcuni bambini locali ci seguono e ci indicano la strada.

Alcune mura risalenti al medioevo fortificano alcune creste. Fortini militari continuano a susseguirsi, insieme a torri di avvistamento, su tuti e due i lati della valle.

Dall'altra parte della valle infine c'è il Naxcivan, degli enormi e larghissimi conoidi di deiezione per decine di chilometri declinano dalle inaccessibili del Naxcivan per venire coltivati e abitati.

Troviamo finalmente un distibutore ma vende solo GPL!? Non abbiamo finora incontrato un distibutore di GPL in tutto l'Iran! Il gestore ci indica dove si trova un distributore di benzina. Evviva. Facciamo il pieno.

Saliamo in una valle laterale per vedere la sorgente e la cascata di Asiab, niente di che ma un bellissimo posto per picnic, con una delle innumerevoli aree attrezzate all'uopo. Un vento bestia non ci fa godere appieno il paesaggio, ma sfumerà dopo il tramonto.

Definizione
Iran: paese in cui la popolazione fa tanti picnic.

Poi si prosegue per Jolfa, hotel 3 stelle, da cui scrivo, cena con pizza e coca o birra analcolica.
Bella cittadina, Jolfa, la visiteremo domani

14, 15 Agosto

Colazione in albergo 3 stelle, buona, ma il formaggio di pecora della valle di Alamut non l'abbiamo più trovato. La mattina i negozi aprono alle 10, e qui a Jolfa è tutto chiuso. Prendiamo la macchina per andare a visitare il monastero di Santo Stefano, inserito nel patrimonio dell'umanità dell'Unesco. La strada che imbocchiamo continua a risalire questa indimenticabile valle dell'Aras. Le montagne dal lato dell'Iran sono alte, ma quelle dal lato del Naxcivan sono rosse e inaccessibili, e mi torna in mente il ciclo del mondo del fiume, con la valle di colore verde e cime aguzze e impossibili da scalare sui due lati della valle. Pareti verticali franose non affrontabili neanche da alpinisti esperti, chilometri di barriere dell'ex Unione Sovietica, fortini, torrette di guardia, posti di blocco anche dal nostro lato. La valle è bella ma mette i brividi. Sul lato nord corre la ferrovia, forse ancora utilizzata per collegare i fortini militari altrimenti irraggiungibili via strada. Vediamo alcune chiese antiche sul lato iraniano fino a giungere al monastero di Santo Stefano. Il monastero è di culto armeno, dunque cristiano. Le pietre sono dei colori della valle, gialle, marroncine e con sfumature sul rosso. Il monastero è molto suggestivo, un posto che ti invoglia a scattare fotografie. Incontriamo gruppi di turisti che cantano in non so quale lingua. Begli oggetti al gift shop. Riprendiamo la valle verso nord per vedere il lago che inizia con una diga tra Iran e Naxcivan, ma è tutto fortificato e vediamo ben poco. Non ci si può neanche fermare particolarmente a scattare fotografie a fondo valle, non vorremmo mai essere scambiati per spie!

Si ripassa da Jolfa, pranzo e via per Tabriz, strada che sale fino a 1700 metri e poi ridiscende sull'altipiano dell'Iran centrale.

Su Tabriz dirò tra poco... ma non c'è moltissimo da dire.
Dopo l'avventura ci dedicheremo al turismo, dunque i resoconti saranno meno lunghi e particolareggiati.
Dunque qualche divagazione.

Strade e traffico
La rete stradale dell'Iran è decisamente buona. L'asfalto è in buono stato, il traffico fuori dalle città è poca cosa. La benzina costa ben 22 centesimi di euro al litro, esattamente come l'acqua in bottiglia.
Si può guidare in Iran senza difficoltà? Direi di sì, se sei abituato al traffico del sud scoprirai che in Iran il traffico è discretamente disordinato, ma non caotico come in altri paesi dell'Asia. Basta un po' di attenzione. Anche per attraversare le strade nelle città. Spesso ai bordi delle strade si trovano dei canali per il deflusso dell'acqua della profondità di mezzo metro, quando si parcheggia bisogna stare attenti a non finirci dentro. Gli attraversamenti pedonali del pertugio richiedono un po' di attenzione.

Cibo e bevande
A colazione pane, miele e formaggio (se va male filadelfia, se va bene formaggio caprino o crema di affioramento del latte.
I ristoranti servono quasi sempre spiedini di pollo o montone o macinato di montone con riso e verdure. Spesso anche il pomodoro è cotto alla griglia. Se vuoi qualcosa di diverso è difficile da trovare.
Viene talvolta servita come antipasto una zuppa di pomodoro con farro.

Il pane è essenzialmente di due tipi, quello piatto alto un centimetro che spesso viene servito per colazione e comprato la mattina nei panifici, quello piatto alto un millimetro che viene messo a strati e si usa durante gli altri pasti. C'è anche un pane più croccante da sbriciolare nella zuppa.

Tonnellate di frutta e verdura nei mercati al prezzo inferiore al mezzo euro al chilo.
Ci han detto che in Iran ci sono 8 tipi differenti di meloni.

La pizza è diversa dalla nostra perchè non ci mettono il pomodoro ed è un poco più spessa, ma è comunque buonissima.
Nelle grandi città si trovano anche i ristoranti che hanno il kebab come qullo che siamo abituati a trovare in Italia, ma sono gestiti da turchi o siriani, e fanno anche la Pide (la pizza turca).

Nei buoni ristoranti servono anche piatti di verdure con riso, altrimenti lo standard è spiedini con riso. In casa si preparano dei cibi differenti da quelli dei ristoranti, gli iraniani quando vanno a mangiare fuori casa vogliono gustare cibi che non mangiano a casa, da cui le griglie di carne di cui sono specializzati i ristoranti.

Le bevande sono tutte analcoliche, dunque le solite bevande gassate (tra cui la coca cola) ma anche un mucchio di altre marche locali, tra cui la buonissima Rani, bevande non gassate stile succhi di frutta in lattina con dentro veri pezzi di frutta, da bere fredda e dopo avere agitato la lattina. Io ho provato arancia e pesca, veramente speciale.

La birra non alcolica si trova, ma il gusto è quello che è. Meglio ripiegare sulle bevande di malto che meno vogliono assomigliare alla birra, al gusto di frutta (ottima quella al limone).

L'acqua in Iran è potabile dappertutto. Infatti in montagna si beve ottima acqua di sorgente, in città pessima acqua probabilmente clorata che impasta la bocca. Anche l'acqua in bottiglia ha questo retrogusto non particolarmente invitante. Fatto sta che l'acqua è gratis per tutti. Nelle città numerose fontanelle permettono di riempirsi le bottiglie di acqua non solo potabile ma anche fredda al punto giusto. Certo che il sapore non è un granchè, ma perlomeno è potabile. Non si può avere la moglie piena e la botte ubriaca. Sicuramente spendono meno in cloro che in problemi di igiene ad avere l'acqua non potabile. Anche noi nelle nostre città abbiamo acque del sindaco buone ma anche pessime, dunque siamo lì, forse anche peggio.

Arriviamo a Tabriz nel pomeriggio. Troviamo subito l'Hotel Morvarid, un signore che lavora all'hotel ci accompagna in un edificio nei pressi dove posteggiamo la macchina.

Le prossime due giornate sono dedicate allo SHOPPING. Infatti Tabriz, due milioni e passa di abitanti, ha il più grande bazar del mondo, senza considerare gli innumerevoli negozi e bancarelle per le vie principali della città.

Il bazar, coperto con soffitti a volta in pietra, è un dedalo incredibile, si entra e non si sa da che parte se ne uscirà. Alcune sale più ampie mostrano quello che resta degli atri dei caravanserragli che ivi si trovavano, tra cui quella centrale dei venditori dei tappeti.

Le zone sono a tema.

C'è la via dei negozi di articoli militari, quella dei rigattieri, il mercato della frutta e verdura, la zona dei formaggi, il mercato dei vestiti, delle scarpe. Vicino al nostro hotel c'è la zona dei negozi di animali, inframezzati da macellerie, così che si possa vedere il ciclo intero dal pollo ruspante al pollo da cucinare.

Onestà
Tra Rial e Toman ogni tanto non si capisce una emerita cippa.

Il prezzo è quasi sempre in Rial, talvolta in Toman. Se il prezzo è, per dire, 30000 Toman, loro ti dicono 30 Toman, dunque tu dovresti aggiungere 3 zeri per capire che sono 30000 Toman, poi aggiungere uno zero perchè diventino 300000 Rial, quindi pagare con le banconote che sono in Rial, perhcè il Toman ufficialmente non esiste. Capita ogni tanto di confondersi e senza cercare di approfittare della situazione il venditore ti mette la mano nel portafoglio e ti prende il giusto per evitare che tu gli dia dieci volte il prezzo che effettivamente era stato richiesto.

Per quanto riguarda la contrattazione poche cose si contrattano, quasi tutto è a prezzo fisso. Del resto se una maglietta mi dicono che costa 5 euro per cosa contratto, per risparmiare 30 centesimi? 1 euro e 20?

Probabilmente si contratta ancora per i tappeti, mentre per le oreficerie il prezzo è fissato dal peso dell'oro moltiplicato per un certo coefficiente, e da lì non si scappa.

I prezzi degli oggetti di tutti i giorni è ridicolo. Un termometro sotto l'euro, e così un paio di forbici, oppure una fetta di torta.

Si pranza (compreso il bere) con circa 3 euro e mezzo/4 euro, se si vuole andare al ristorante di lusso (se lo trovi, mica ce ne sono tanti) puoi anche arrivare a spendere 7 euro, ma se ti fermi alle bancarelle mangi con un euro.

Per bere il tè
si va nelle Chaykaneh
e in alcune c'è il Narghilè.

Tabriz andiamo a girarla ognuno per conto suo per negozi.
Un gruppo di turisti davanti a una pasticceria.
Un altro nella zona dei tappeti nel bazar.
Qualcuno qua e là.

E un mare di iraniani, che poi somigliano a noi, non hanno le caratteristiche somatiche arabe ma piuttosto sembrano mediterranei, potrebbero tranquillamente essere del sud Italia, qualcuno anche del nord.

Io e Mauro ceniamo insieme il 14 (ristorante in stile liberty), poi visitiamo insieme la moschea blu il 15 mattina.

Moschea blu
Davanti all'ingresso un signore ci presenta il bigliettaio della moschea e ci dice che era un suo alunno a scuola (lui è insegnante di inglese). Dato che dobbiamo andare nei prossimi giorni al lago di Orumiyeh ci dice che una volta il livello dell'acqua era 30 metri, ora è meno di un metro a causa delle numerose dighe tutt'intorno. Un detto azero recita che a vedere ridotto così il lago viene da piangere e sìcon le lacrime poi riempire il lago. Le lacrime vanno bene, perchè il lago di Orumiyeh è salato come il mar morto e pare si galleggi. Vedremo.

La mosche blu è stata ricostruita nel 1970 e qualcosa in quanto era rimasta distrutta da un terremoto nel 1700 e rotti. E' detta così per le spettacolari geometrie di piastrelle blu, con motivi decorativi molto complessi che possono essere paragonati alle decorazioni di Granada (Alhambra) e Cordoba (Mezquita) in Andalusia. Purtroppo all'esterno restano solo mattoni rossi (o quasi), la decorazione esterna è andata distrutta, ma quella interna merita decisamente la visita.

Andiamo poi a vedere il mausoleo dei 500, per commemorare le grandi personalità di Tabriz le cui tombe si sono perse o sono rimaste distrutte in seguito ai terremoti. Purtroppo vediamo il monumeto solo da fuori a causa dei lavori in corso: nel 2018 Tabriz sarà la capitale della cultura isalmica nel mondo, e stanno facendo parecchi lavori in giro per la manifestazione che verrà.

Mauro va a farsi tagliare la barba, al barbiere tremava la mano ma non è stato sgozzato. Barba e capelli 1 euro e 80.
La cosa che fa specie è vedere prezzi così esageratamente bassi in un paese dove non abbiamo visto casi di mendicanti, dove la società ha una struttura che funziona con servizi all'altezza.
E' vero che nelle zone dimenticate del paese ci sono sicuramente di persone che vivono in povertà, però l'economia gira, e i prezzi sono bassissimi.
Devo comprare qualcosa, che ne so pennarelli per i bambini o altre scemenze che pesino poco? Piuttosto che comprare in Italia!
Gomme, tante gomme per Giovanni che le perde.

Il pomeriggio del 15 usciamo verso le 7.
Prima tappa quartiere di Valiasr, est della città vecchia. Taxi, 1 euro. Per 5 km e dieci minuto buoni di traffico.

Così ci immergiamo nell'atmosfera della città moderna e luccicante. Negozi stile occidentale, ristoranti, bar, caffè (è la prima volta che vediamo in Iran un posto dove bere caffè, finora solo tè).

Via pedonale. Un ragazzo di Tabriz (Samad) con due amici di Teheran ci ferma, facciamo una passeggiata insieme e chiacchieriamo di religione, politica e turismo. Selfie e foto ricordo.

Entriamo nella piazza che sottoterra ha un centro commerciale con grandi marche, stile le nostre, ma sono marche diverse. Comunque (anche se non è così grande) è sullo stile del città fiera. Ci sono gli omologhi anche del MacDonald eccetera, ma non chiedetemi come si chiamano.

Catena di negozi Lara (Zara?), stesso stile.
Un salto nell'occidente, e i prezzi sono ovviamente più alti, ci troviamo dove vive la borghesia di Tabriz.
Vediamo anche un negozio di tappeti, ce ne sono di belli, Mauro si ferma a guardarseli un po'. Non sono fatti a mano, ma fanno la loro figura.

Taxi di nuovo, un altro euro, e andiamo nel quartiere di Elgoli, 8 km dal centro, ner ristorante Baliq. Cucina turca di pesce e ristorante anche molto bello.

Qui spendiamo una fortuna, 11 euro a testa per antipasto, pesce e bevande, il record della vacanza. Staremo più attenti alle spese più avanti. Quando paghiamo diciamo al proprietario che vogliamo andare a vedere Elgoli Park, la zona del lago con il parco di divertimenti notturno. Lui lascia il locale e ci accompagna con il suo macchinone targato Virginia (Usa), 2 km o poco più di passaggio.

Passeggiata intorno al lago artificiale, al cui centro c'è un ristorante di lusso e incontriamo la signora con cui avevamo chiacchierato bevendo il tè al castello di Babak. Ci salutiamo. Il lago è sereno, ristoranti, bancarelle e una folla di gente che passeggia. Sono le undici di sera e le famigliole si fanno il giro intorno al lago. Entriamo nel parco di divertimenti e andiamo anche sulle montagne russe. In un ristorante vediamo attraverso il vetro un panettiere che prepara il pane, lo filmo mentre il suo amico lo canzona che gli stiamo facendo il filmino.

E' mezzanotte, taxi e rientro.
Domani ultimo giro per Tabriz e andiamo a passare la notte a Kandovan.
Il giorno dopo Kandovan, lago di Orumiyeh e Sanandaj, o qualcosa del genere.

E' bello sentirsi liberi, mica come i gruppi dei turisti organizzati che abbiamo visto oggi!
Buonanotte.

16, 17, 18 Agosto

Ancora una mattina a Tabriz dedicata allo shopping (per chi compra) o a guardare negozi (per chi non compra), appuntamento alle 14 per il pranzo.

Mangiamo in una buona pizzeria turca, quella dove sono stato da solo il giorno prima, poi si vanno a prendere i bagagli, l'auto (che è in una rimessa a circa 500 metri dall'hotel) e si va a Kandovan.

Kandovan è una cittadina sulle pendici del monte Sahand (circa 3700 m), molto turistica. E' una attrazione per dove e per come è costruita. In una stretta valle scorre un fiumiciattolo. Sulla destra orografica un passeggio di ristoranti e negozietti.

Sulla sinistra orografica il paese.

In alto centinaia di guglie (probabilmente di tufo) cosiddette camini di fata, in basso case costruite con mattoni dello stesso colore delle guglie. Numerose casette non sono costruite bensì scavate all'interno delle guglie in alto, per cui salendo a piedi lungo le ripide vie del paese ci si ritrova a camminare tra questi coni, alti anche venti metri, dai quali si aprono porte e finestrelle. La maggior parte delle porte sono aperte al pubblico e sono in realtà negozietti, quasi mai di prodotti locali ( la gente deve pur vivere). In un negozietto sul retro un ragazzo ci farà vedere una stanza con due letti, ci faremo una foto con lui.

Il posto è affollato probabilmente alla mattina, quando arrivano i camion di turisti a vedere l'unicità del luogo, noi decidiamo di trascorrervi una notte ma NON in hotel, che è un albergo di lusso con le camere scavate nelle roccia e prezzi da albergo 5 stelle in Italia.

Attraversiamo in auto tutto il paese, per vie strettissime con fondo di pietra, attraversiamo anche l'affollattissimo parcheggio e, finalmente, un po' oltre il paese, troviamo dove lasciare l'auto. Ci carichiamo gli zainoni e gli zainetti e, carichi come muli, speriamo che qualche locale capisca che stiamo cercando un luogo dove dormire. Così non è e ci tocca chiedere (a gesti) perchè nessuno spiaccica una parola d'inglese (come è del resto normale appena esci dal circuito degli hotel). Un signore che fa fare giri turistici sull'asinello ai turisti locali ci indica una casa sopra un negozietto. Chiediamo al negozio e il proprietario ci porta a vedere la stanza (con bagno), spartana, al prezzo esorbitante di 15 euro entrambi. Posiamo gli zaini e ci inerpichiamo per le vie del paese a scattare foto. E' il tramonto, le luci sono bellissime e ci sono pochissimi turisti (nessuno occidentale). Vedremo poi solo una coppietta di giovani occidentali, per il resto è solo turismo locale. Galline che passeggiano in giro, montagne di frutta secca (io prenderò albicocche, poi Mauro pesche, almeno crediamo che siano albicocche e pesche). Assaggiamo anche una sferetta durissima bianco che pare di masticare marmo che di sapore fa veramente schifo, ma come fanno a mangiare 'sta cragna?

In una vasca dei contenitori sono parzialmente immersi nell'acqua che bolle, chiediamo, stanno sterilizzando il miele.

Imparo a dire goodbye in azero: koda hafez.

Ci si riposa un po' in camera e poi andiamo a cena. Mauro non ne può più di mangiare montone così anzichè ordinare pollo (che sicuramente non è montone) ordina uno spiedino rosso che dicono sia mucca ma probabilmente è montone).

Siamo a 2200 metri e fa freddo, dormiremo con la coperta.

La notte piove, la macchina la mattina è sporca di sabbia. Sentivamo il rumore del torrente durante la notte ma invece c'era anche il rumore della pioggia. Cadono altre due gocce durante il giorno in modo da sporcarci per bene il vetro dell'auto, dobbiamo rimettere acqua nel contenitore del tergicristallo.

Ci aspettano ora ore e ore di auto, con piccole pause. Puntiamo al lago Orumiyeh, anzi no. Per chè il lagop non c'è praticamente più. Puntiamo ai resti del lago Orumiyeh.

Attraversiamo prima per 20 km una zona desertica a perdita d'occhio, dove già la nostra cartina affermava che il lago non c'era più, poi una grande isola montuora al centro del lago, rotonda, di circa 20 km di diametro, poi arriviamo al ponte, dove vedremo quel che resta del lago.

Sale a perdita d'occhio, un mucchio di auto si fermano lì, probabilmente è uno dei pochi posti dove si arriva ancora a vedere l'acqua salata, nella quale immergendosi si galleggerebbe, ma non si può, perchè il fondale è di poche decine di centimetri. Qualcuno si avvia per chilometri dalla riva per cercare acqua più profonda, ma senza successo. Anche Mauro si fa una passeggiata nell'acqua salata. In lontananza emergono isolette di sale dal fondale che ormai si sta sempre più abbassando. Dei resti di un traghetto certificano che lì c'era un porto. Su un piccolo molo affittano dei pedalò a testa di cigno che, se non si arenano, permettono di fare un giretto nei dintorni. Decine di chilometri a destra e sinistra: sale.

Ripartiamo e attraversiamo per una quindicina di chilometri quel che resta del lago, ossia una distesa di fondale marroncino perfettamente piatta. Arriviamo ad Orumiyeh, grande città, cerchiamo di arrivare al lago anche da questa parte, ma il lago non c'è più. Vediamo delle torri di castello blu scintillanti. Bungalow. Stanno costruendo, sulle rive del lago che fu, un parco di divertimenti.

Il viaggio è lungo, arriveremo probabilmente verso le 8 di sera, attraverseremo quasi tutto il Curdistan iraniano.

Riprendiamo la strada verso sud. Direzione Mahabad, dove arriviamo per le due meno un quarto e ci fermiamo a pranzare.

Questa grande città, che non ha attrattive turistiche, non vede probabilmente uno straniero da decenni. Il miglior ristorante della città serve a Mauro un pesce (probabilmente da allevamento, vediamo enormi vasche di decine di metri ciascuna per allevamento sul fiume) che lo rende felice. Io sono in crisi di insalata, perciò oggi insalate.

Si va verso Bukan, tra dolci colline semiaride, orti a fondovalle, frumento sulle pendici delle montagne fino a dove si può, poi nulla. Le colline sono dolcemente ondulate e ricordano il paesaggio del centro Italia, se non fosse per la vegetazione da sud Italia. La quota sale, dopo Bukan verso Saqqez e poi verso Divandareh, tra Mauro che russa e me che guido, si arriva a un altopiano con leggere ondulazioni quasi tutto coltivato a frumento (coltivazioni estensive). Quota tra i 2000 metri e i 2400 metri.

Si scende infine verso Sanandaj, con lunghi curvoni che, seguendo le ondulazioni del terreno, fanno perdere quota. Vediamo dighe e laghetti ma soprattutto enormi lavori di costruzioni di strade. Talmente tanti lavori da non poterli descrivere. L'Iran sta investendo moltissimo in infrastrutture, strade e ferrovie. Con queste descrizioni non si riesce a dare un'idea degli oltre 100 km di altipiano oltre i 2000 metri e delle decine di chilometri a curvoni larghi per perdere quota.

Sanandaj, di oltre mezzo milione di abitanti, importante città del Curdistan iraniano.

Grandi viali, università, locali in stile occidentale. Cerchiamo l'hotel Shadi, forse il migliore della città, e lo troviamo. Camere grandi, letti una piazza e mezza, le quattro stelle ci sono tutte.

Per andare a cena Marcello è convinto di trovare subito il ristorante segnalato dalla lonely planet, e si sbaglia. Primo perchè non è dove lo cerca, secondo lo scopriremo tra poco. Posteggiamo in centro e chiediamo a un tassista di portarci al ristorante. Per la prima volta nella mia vita vedo il tassista chiedere a tutti quelli che incontra dove si trova il ristorante e, dopo circa venti minuti di girovagare, ci porta al luogo dove il ristorante si trovava quando esisteva. Sono le dieci, gli diciamo di decidere lui un buon ristorante che ormai è tardi, e ci porta in un buon ristorante di cucina prevalentemente italiana, non troppo distante da dove abbiamo posteggiato l'auto. Mauro bistecca, io insalatona e poi si va a letto.

Colazione da hotel quattro stelle, ma il pecorino della valle di Alamut non l'abbiamo più incontrato da nessuna parte!

Programma di venerdì 18 la valle di Howraman. Il giro è lungo e paesaggisticamente di grande impatto. Dobbiamo prima avvicinarci a Marivan, 120 km a nord. La strada sale fino a oltre 2000 metri per poi iniziare una lunghissima discesa per una sessantina e più di km in una valle che diventa sempre più stretta mano a mano che si scende. Arriviamo ad un paesino e giriamo per Dizli, dove arriviamo dopo circa 20 km e l'attraversamento di un piccolo ma suggestivo canyon. Ora la strada si inerpica tra montagne molto alte fino al passo, spettacolare, a quota 2300. Dall'altra parte del valico vediamo in lontananza il bivio. A destra la strada sale sulle montagne costeggiando il confine con l'Iraq, a sinistra (quella che prendiamo noi), scendein una valle profondissima con numerosi tornanti. In fondo si intravedono i primi paesini, con le casette addossate alle pareti delle montagne.

Ci fermiamo a Howramat, a vedere alcuni negozietti, tra cui uno di scarpe locali fatte a mano. Mauro le prova ma sono troppo rigide.

Siamo in Curdistan, gli uomini vestono tutti con i pantaloni alla zuava, alcuni hanno il vestito completo con una banda di tessuto larga a fare da cintura, altri hanno un turbante. Le donne vestono abiti molto colorati, non ci sono quelle tristissime madonne nere che abbiamo visto spesso nelle grandi città.

Un assembramento in centro al paese, davanti alla moschea. Ci pare possibile sia un funerale, ma non chiediamo. Saliamo per le vie del paese, abbarbicato su una montagna. Incontriamo (credetemi che è raro) un ragazzo poco più che trentenne che parla inglese. E' l'insegnante di inglese del villaggio. Ci offre delle pere e dell'acqua fresca. Ci dice che quel paesino ha la bellezza di 3000 abitanti. Ci dice anche che al di là delle montagne, in Iraq, la zona è sicura perchè è controllata dai curdi iracheni. E ci avverte che se la polizia chiede i documenti e scopre che siamo stranieri potrebbe trattenerci per dei controlli in quanto sono preoccupati di possibili spie o infiltrati o qualcosa del genere. Fortunatamente la nostra macchina è targata iraniana, noi sembriamo due iraniani e nessuno finora ci ha mai fermato ai posti di blocco (e ne abbiamo passati veramente molti). C'è sua moglie in casa e la bimba di tre anni ci si avvicina ma non prende il biscotto di Mauro perchè deve lavarsi le mani. Il ragazzo ci racconta di una turista svizzera che qualche anno prima, innamorata del posto, è tornata d'inverno (con la neve) per due mesi!!! Non oso pensare come ci si possa muovere in quel posto con la neve, in un paese di scale ripide di pietra per arrivare lla strada e fango. Ci conferma che l'assembramento riguardava un funerale, è morta una vecchia signora. Ci dice che i media dipingono in occidente l'Iran e in particolare il Curdistan iracheno in una maniera assolutamente falsa. Noi, che vediamo le cose come stanno, non possiamo che concordare.

Trovare un posto per mangiare tra le montagne è cosa difficile, dunque ci compriamo un fantastico (il migliore finora) pane al panificio. E' un pane cotto sui sassetti e il fornaio ci leva i sassi attaccati al pane prima di darcelo. Prendiamo da un alimentari del formaggio stile filadelfia e del tonno, Ci sediamo in una chaykaneh lungo la strada, affondiamo il pane nel formaggio sorseggiando il tè.

La strada per Paveh diventa sterrata (del resto una strada per Paveh come può essere completamente asfaltata?). Lo sterranto fa proprio schifo e si rallenta moltissimo. Attraversiamo altri paesini, raggiungibili solo con questa strada sterrata, purtroppo è venerdì e i negozietti sono chiusi.

La strada inizia poi a scendere verso un lago, evidentemente artificiale ed enorme, a fondo valle. E' stata costruita una immensa diga. Nei pressi di una sorgente tantissime persone ferme, alcune fanno il bagno nel lago profondo (forse soldati). All'interno della montagna in un tunnel una trentina di quadri fotografici illustrano la costruzione dell'enorme diga. C'è chi riempie la bottiglia dalla sorgente, chi si lava i piedi, chi vede la cascata sgorgare dalla roccia, e quasi tutti indossano abiti del Curdistan. Una numerossima famiglia ha un paio di ragazze che parlano inglese e così ci vengono a parlare. Sono di Marivan e stanno facendo la loro gita venerdicale (qui è festa di venerdì, dunque le nostre gite domenicali qui sono le loro venerdicali).

Sono molto stupite di vedere occidentali da queste parti, e in effetti è da un po' che non ne vediamo più neanche noi, per cui foto di gruppo. Scendiamo di quota con dei tunnel per vedere la diga da valle. La diga sta scaricando acqua e il canale di sfogo crea una cascata gigantesca e impressionante, per dimensione e potenza.

Considerando gli investimenti per le infrastrutture l'Iran sembra veramente un paese sulla strada della modernità.

La strada per Kermanshah (quasi un milione di abitanti), dove dormiremo la sera, tra passi alpini e montagne, poco aggiunge ai panorami, ma l'arrivo verso Kermanshah, tra le montagne rosse rese ancora più rosse dal tramonto del sole, tra prati enormi color oro, è di grande effetto. La via di accesso alla città presenta enormi lavori in corso per la linea della metropolitana.

Ci sistemiamo in un hotel in pieno centro, a due passi da Abazi Square.

Sotto l'hotel, tra vari negozietti, troviamo un Nokia vecchio modello solo telefono e sms a dodici euro. Ne prendiamo uno ciascuno, in Italia non si trovano più. Il negoziante, felice di vedere due occidentali, si fa un selfie con noi per postarlo da qualche parte, se no non gli credono che due occidentali sono a Kermanshah.

Il ristorante segnalato dalla lonely ha chiuso, due in due giorni, sfiga, niente melanzane.

Andiamo a cena, chiediamo a un tassista un buon ristorante e lui ci porta in un hotel dopo che gli avevo detto che no, non volevamo mangiare in un hotel. Manifesto il mio disappunto in italiano (tanto l'inglese qui non lo conosce nessuno) e credo non gli sfugga che mi ha fatto incazzare. Non gli parte più il taxi, forse partita la frizione. Ben gli stà.

Un altro taxi ci porta in un altro ristorante, mangiamo bene spendendo poco. Alla fine torniamo con un passaggio di un taxi non ufficiale che resta senza benzina poco prima di lasciarci a destinazione. Non vuole soldi, lo aiutiamo spingendo l'auto vicino al benzinaio!!!

Gelatino, Mauro goloso biscotti, buonanotte.
Domani Kermanshah, Bisotun, Taq-e-Bostan, Palangan e torniamo a dormire a Sanandaj.
Piccole divagazioni con nulla in comune:

Autostrade, quasi nessuna pubblicità ma cartelli commemorativi dei pasdaran morti in guerra contro l'Iraq.
Gabinetti, non si butta la carta nel water ma nel cestino apposito. Se la carta c'è, se no è meglio avere sempre qualcosa a portata di mano.
Inglese (nel senso di lingua), non pervenuto. Se uno sa due parole in croce di inglese prova a parlare con noi giusto per vedere se funziona.

19, 20, 21 Agosto

Mattina del 19 a Kermanshah, la città dei biscotti (negozietti dappertutto) e delle banche (incredibile, dappertutto). Mauro ha comprato i biscotti, io avrei voluto comprare una banca.


Kermanshah presenta a nord una catena montuosa di monti color rosso-verde assolutamente scenografici.

Vediamo il bazar e una moschea storica, con delle splendide decorazioni e quadri di mattonelle rappresentanti scene coraniche. Nel cortile interno l'impronta di Alì su una mattonella sul muro.

Partiamo da Kermanshah per andare a visitare il sito di Bisotun, 30 km a est, sotto le strapiombanti pareti del monte Bisotun, dai colori rosso-verdi.

Il sito presenta una serie di iscrizioni sulle pareti del monte risalenti a vari periodi storici, proprio a testimoniare come numerosi sono stati i popoli che hanno trovato magico questo luogo. C'è anche una grotta dove viveva l'uomo di Neanderthal e una parete liscia sulla quale erano scolpiti vari testi in diversi tipi di scrittura, tra cui il cuneiforme. E' proprio studiando questa parete (dopo averla lisciata e preso i calchi) che uno studioso inglese è riuscito a decifrare tale scrittura, per cui questa parete ha l'importanza della stele di rosetta. Sfortunatamente non abbiamo potuto vedere la più importante delle pareti scolpite, con il condottiero Dario, in quanto chiusa per lavori.

C'è anche un caravanserraglio, trasformato in un hotel cinque stelle, tantissima erbetta irrigata e ancora unida (a testimoniare dell'enorme quantità d'acqua che c'è, nonostante il paesaggio semiarido), un edificio di un ministro dello scià del 1941, oggi sala da tè, splendidamente arredata, dove è possibile comprare i pezzi d'arredo e gustarsi un tè in una delle quattro sale seduti sui tappeti e appoggiati ai cuscini rigidi sulle pareti, cosa che abbiamo fatto.

Nei pressi di un laghetto parlo con un ragazzo che abita sul Caspio a est, e sta visitando anche lui il nordovest della sua nazione.

Ci trasferiamo poi di nuovo a Kermanshah, a nord del quale si trova taq-e-Bostan. Pria ci mangiamo qualcosa in un ristorante lì vicino. Poi sotto un sole cocente passeggiamo per la via dei ristorantini (pedonale), tra i fumi delle griglie che ci vengono spinti addosso dal vento, fino all'ingresso del sito archeologico. Su un'altra parete verticale, nei pressi di un laghetto alimentato da una sorgente sotterranea, si trovano anche qui 3 grandi pareti scolpite con scene degli antichi regnanti. Infatti la zona era il giardino della reggia. Che strano vedere l'acqua scorrere giù dal lago che è alimentato dalla sorgente sotterranea, ma ci stupiremo di più il giorno dopo. Il viaggio in macchina per Palangan è lungo, non troviamo le indicazioni ma alla fine troviamo la strada. Palangan è uno dei villaggi più belli dell'Iran. C'è solo turismo locale i fine settimana (i soliti picnic venerdicali), noi siamo di sabato e probabilmente non vedono europei da un bel po' di tempo.

Chi sa qualcosa di inglese cerca di parlare con noi. Un gruppo di singore e ragazze, vestiti con i loro abiti colorati, mi chiedono di fare loro una foto e poi vogliono vederla sulla macchina fotografica. Due signori che non sanno una parola d'inglese riescono comunque a impostare un minimo di conversazione:

Iran, Rohani, Italia?
Gentiloni
Gen-ti-lo-ni ummm, Italia Europa?
Italia Europa, sì
Umm, Hitler Italia Alemania
Hitler Alemania, no Italia
Il paese è diviso a metà da un torrente, le case sono abbarbicate sulle due pareti rocciose ai due lati del torrente. Risaliamo il torrente lungo una enorme passerella di cemento (larga tre metri e lunga duecento) che non capiamo a cosa serva se non a passeggiare. Ringhiere non ce n'è, ma si vede che qui non si usa, e ai lati dai 3 a oltre metri di precipizio. Poi scopriamo, andando a monte, che c'è una grande vasca, e che la passerella altro non è che un canale per l'acqua che scorre impetuosa sotto di noi al suo interno. Nella vasca a monte alcuni bambini si buttano pericolosamente nell'acqua nella vasca con forte corrente e vortici, uno piccolino si arrampica con le ciabatte sulla roccia con tre metri di vuoto sotto. Poi ne vediamo anche altri che, come stambecchi, salgono su un'altra parete. E' il tramonto e ci avviamo a malincuore da questo paesino affascinante.

La strada per ritornare da Palangan sulla statale Kermanshah-Sanandaj presenta dei campi di frumento di un colore dorato così intenso che non lo ho mai visto altrove.

Per Sanandaj ci sono ancora due ore di auto e arriviamo di notte all'hotel 4 stelle della sera prima. Prendiamo la camera e andiamo a mangiare al ristorante panoramico dell'hotel al quinto piano. Lucette di stelle sul soffitto, un cantante e un chitarrista ci rallegrano con ballate locali.

Il buffet è ricco e mangiamo oltre la sazietà, 10 euro a testa.

Siamo al 20, colazione e si va in centro a Sanandaj. Vorremmo visitare l'hammam storico, ma è chiuso. Ci perdiamo a fare acquisti nel bazar e torniamo all'auto decisamente tardi. Troviamo l'auto bloccata da altre auto che ci hanno parcheggiato dietro. Siamo bloccati e non sappiamo come fare a partire. Un ragazzo vede il nostro problema e dopo un po' escogita una soluzione. Viene spostata da un suo amico un'auto che non era tra quelle che ci bloccavano dietro, poi l'altra che ci blocca viene spostata di peso da lui e da altri baldi giovani fermati da lui per strada di quasi un metro. Abbraccio lui e gli altri salvatori, poi passo strettissimo tra auto e un mucchio di macerie e riesco ad arrivare su un largo marciapiede dal quale poi guadagno la strada. E' veramente tardi e dobbiamo viaggiare.

Ci fermiamo a mangiare una pizza a Divandareh, in una buona pizzeria dove credo che non abbiano mai visto un turista straniero. Poi saliano su un altissimo altopiano, circa 2300 metri di quota, tutto coltivato a granturco. Lo costeggiamo e poi discendiamo a Takab. Da lì risaliamo sulle montagne di fronte, fino a trovare quello splendido posto che è Takht-e-Soleyman (trono di Salomone), sito zoroastriano.

Qui in un posto assolutamente incredibile, ci son i resti di una antica città.

Il nome deriva dal fatto che gli abitanti si sono inventati una storia su Re Salomone in modo che gli arabi (che stavano per conquistare il territorio) non lo devastassero dato il rispetto per il re. Lo stratagemma funzionò, il nome rimase.

Sito 1 – Collina piatta di circa 400 metri di diametro, fortificata da mura e torri tutt'intorno. Resti di templi e edifici di vario tipo. Al centro (e questo è veramente incredibile), un lago dalle pareti sott'acqua verticali profonde centinaia di metri di origine vulcanica, dal quale da millenni sgorgano decine di litri d'acqua al secondo. Il lago, lo ripeto, si trova al centro di una collina piatta. Il posto è veramente magico.

Sito 2 – a 4 km un piccolo cono vulcanico. Saliamo un centinaio di metri e guardiamo giù dall'orlo del cratere: uno spaventoso e terrificante abisso, che fa veramente paura. Ci facciamo alcune foto lissù, stando attenti a non avvicinarci al baratro, tra i fumi di anidride solforosa che escono da questo pozzo senza fondo dalle pareti verticali.

Alcuni ragazzi vogliono farci dei selfie con noi. Un signore con la moglie e il figlioletto è un turista dell'Afghanistan! Nel museo troviamo delle foto del sito, tra cui una con la neve. Infatti c'è caldo, ma siamo a 2300 metri di quota.

Probabilmente uno dei luoghi più suggestivi dell'intero viaggio.

Si sale fino a 2600, si scende a 1800, vediamo le cave della città mineraria di Dandi. Buio pesto, un altro passo a 2400 di notte, poi si scende a Zanjan, albergo, pizza per cena e tè dopocena.

La mattina partenza presto, subito dopo la colazione, è il 21 e dobbiamo restituire la macchina.

Dopo circa tre quarti d'ora siamo a Soltanyeh, che è stata costruita intorno al 1300 per essere la capitale dell'Iran, poi è arrivato un secolo dopo Tamerlano e ha asfaltato la città, ma sono rimasti dei bei monumenti tra cui la cupola di mattoni più alta del mondo, assolutamente immensa, al cui interno ci sono molti turisti, tutti iraniani.

Io fotografo al solito un po' di fregi e ricoprimenti del piano.

In una stanza ci sono dei cartelloni appesi con tutti i siti patrimonio dell'Unesco dell'Iran, tra cui questo e altri che abbiamo visto. Saliamo anche le scale per vedere la panoramica del cupolone azzurro interna e dall'esterno in due piani diversi. Visitiamo anche gli altri due monumenti rimasti della città, tra cui un monastero derviscio e una moschea in restauro nella periferia della cittadina.

Qui le donne sono quasi tutte in nero. Paesino piccolo e gente mormora. Molto più allegro il Curdistan.

Un paio d'ore e siamo a Qazvin, dove eravamo passati senza fermarci 15 giorni/1 secolo fa, per entrare nella Alamut valley (che fa parte dell provincia di Qazvin). Siamo nella pianura centrale iraniana, intorno ai 1600 metri di quota, e il sole picchia duro, così cerchiamo l'omra. Andiamo a mangiare nel ristorante migliore della città un pollo senza un filo di grasso e che non sa di freschino che se lo godrebbe anche Stefania, pagandolo un po' più del solito ma ne valeva la pena. Anche il mio contorno di riso e fave è un sapore molto mediterraneo che ben si abbina. Nella passeggiata che segue per la città vediamo il palazzo reale in stile mongolo (Qazvin era la capitale dell'Iran sotto i mongoli). Entriamo nel nuovo bazar, perfettamente ricostruito con moltissimi negozi di alta classe e di artigianato che vendono oggetti d'arte di discreto livello penso solo per turisti, e c'è, INCREDIBILE, un bar/caffè con le fette di torta e l'espresso!!! Incontriamo tra questi viali coperti un signore che sta tenendo un corso di fotografia a 6 ragazze e un ragazzo probabilmente intorno ai 18 anni. mettiamo a chiacchierare, l'insegnante mi dice per procura (alcuni ragazzi mi traducono in inglese), come usare l'ISO della macchina fotografica nei luoghi chiusi. Foto insieme e poi Mauro fa il modello per le foto delle studentesse di fotografia.

Un'altro ragazzo ci ferma per parlarci un pi' di calcio italiano e iraniano. Attraversiamo l'enorme cortile della moschea, riccamente decorato, e poi attraverso il bazar antico, dove si vendono le cose di tutti i giorni per la popolazione locale, ci avviamo all'auto. Sono quasi le 5 e dobbiamo restituire l'auto a Teheran, due ore di strada. L'attaversamento della città avviene serenamente, a parte le code in tangenziale, e arriviamo all'ostello. Bellissimi i murales sui muri di molte autostrade interne alla città e delle pareti dei palazzi che danno sulla tangenziale.

Il prossimo resoconto da Teheran credo sarà l'ultimo.

Ciao a tutti.

22, 23, 24 Agosto

Altre piccole cosette

Dossi: qui nelle città si va piano perchè i dossi sono terrificanti. Se li prendi in velocità spacchi l'auto. In città si va piano per sopravvivenza. Ci sono i dossi che si mimetizzano, i più subdoli, poi ci sono quelli, in ordine di difficoltà crescente, che chiamiamo dosso Sahand, dosso Sabalan e dosso Damavand al variare dell'altezza (dal più basso al più alto), e prendono il nome dalle montagne Sahand (3700), Sabalan (4800), Damavand (5600).

Gabinetti: la carta va nel cestino apposito, non nel water. La maggior parte dei cessi sono alla turca, ma negli alberghi decenti ci sono anche le nostre comode seggiole.

Traffico: nelle grandi città è un manicomio. Una cosa impressionante. Nelle ore di punta è veramente una cosa mai vista. Teheran è anche piena di motorini che nelle stradine pare di essere in Vietnam.

Sicurezza: ci sono parecchi posti di blocco della polizia (non ci hanno mai fermati), moltissimi autovelox (e si va piano) e non abbiamo mai visto un posto o una situazione a rischio. Obiettivamente pare di essere più al sicuro qui che in certe zone d'Italia, alla faccia di quello che ci raccontano i media.

24/8/2017 Teheran
Ultimi giorni a Teheran...
La sera del 21 riusciamo a consegnare l'auto alle 9 di sera, a turno facciamo la guardia alla macchina posteggiata sotto l'ostello in seconda fila, ma di parcheggi in giro neanche l'ombra, e il ragazzo della compagnia che ci ha affittato l'auto non riesce ad arrivare prima delle 9. Mi dice che forse domani c'è un posto per un corso di cucina. Io aderisco subito! Ma poi mi chiama dicendomi che il numero chiuso è stato tutto prenotato. Accidenti.

La camera che ci danno al 7hostel è migliore di quella dell'altra volta, molto bene, dato che dobbiamo passarci tre notti.
Poi andiamo a cena, e per i pasti ci affidiamo alla a guida lonely planet, anche perchè trovare ristoranti degni di questo nome non è facile. Qui ci sono soprattutto minibettole per spuntini, e noi che grazie al cambio favorevole siamo ricchi, vogliamo godercela.

Andiamo a piedi fino a Ferdosi Square, circa 3 chilometri e mezzo, e troviamo una sala da tè con cucina in un sotterraneo molto carina e ben arredata, dove ordiniamo le melanzane.

Qui le melanzane vengono servite schiacciate con altri ingredienti a formare una specie di crema, che si mangia con il pane o con il riso, del tipo di quella che avevamo già mangiato a Masuleh.

Il ragazzo che gestisce il locale ha messo in sottofondo varie canzoni iraniane di vario genere, ne parliamo un po' e lui mi copia alcune compilation sulla chiavetta usb. Ha fatto domanda per andare a studiare un master o in Spagna o in Italia e mi chiede informazioni riguardo alla possibilità di trovare un lavoro in Italia o in Spagna durante il periodo di studi.

La colazione del 22 sul tetto dell'ostello, pane, formaggino e miele, colazione classica iraniana, e tè.
22 mattina dedicato alle compere, ognuno per conto suo. Appuntamento alle 14 (stiamo spostando gli orari più in avanti per rimetterci a posto con il fuso orario) nel ristorante al centro di un parco in centro a Teheran. La mattina ci perdiamo per il bazar, e dire che ci perdiamo non è un modo di dire. Il bazar di Teheran è come il traffico, un manicomio. In un negozietto mi devono mettere le mie vecchie lenti degli occhiali in una nuova montatura, mi dicono di aspettare dieci minuti, dico che mi faccio una passeggiata e torno.

Buonanotte! Due curve e non riesco più a trovare la strada, un vero manicomio, una cosa incredibile. Vi serve un bottone? Centinaia di negozi di bottoni, uno di fila all'altro, e così per ogni genere di cosa vogliate acquistare. All'interno del bazar ci sono probabilmente decine di migliaia di negozietti. Uscire dal bazar non è facile, uno gira verso la luce e trova un cortile chiuso. Se, per esempio, nella zona vendono materassi, all'interno del cortile decine di magazzini di materassi all'ingrosso, e così via. Una cosa mai vista. E' quasi ora di pranzo e non riesco a uscire dal bazar, decido di prendere una via principale e andare dritto, cosa non facile dato il traffico di persone e carretti che trasportano merci. Dopo oltre 20 minuti sono fuori, e scopro di essere esattamente dalla parte opposta rispetto a dove avevo appuntamento con Mauro. Pensavo, uscendo dal bazar, di arrivare in 20 minuti al ristorante, ma sono dall'altro lato del bazar e a piedi ce ne metto ben 50, così, per avere un'idea delle dimensioni anormali della cosa.
Teheran è così: immensa al punto da non riuscire a trovare le parole.

Breve storia dell'Iran, tanto per capirci qualcosa.

I Qagiari hanno regnato dal 1800 circa al 1900 circa, dilapindando le risorse naturali (che non sono poche) di questo grande paese per spassarsela alla grande, e come capite il popolo li disprezzava. Fu così che arrivarono gli scià, con un colpo di stato, ma anche questi al popolino pensavano poco e siglarono accordi con gli stati esteri (in primis Usa e Gran Bretagna) sfavorevoli all'Iran ma favorevoli alla dittatura.

Venne poi eletto democraticamente un nuovo ministro che nazionalizzò le risorse petrolifere facendo carta straccia degli accordi sfavorevoli siglati con l'occidente. La Cia e la Gran Bretagna organizzarono il loro primo colpo di stato. Essendo alle prime armi (poi hanno fatto pratica in sudamerica e altrove) per poco non ci riuscirono, il primo tentativo fallì, il secondo riuscì, il primo ministro democraticamente eletto passò la sua vita in galera fino alla fine dei suoi giorni, lo scià Reza Pahlevi ripristinò gli accordi commerciali. E' il 1951. Così si capisce perchè il popolino è ben felice di appoggiare la rivoluzione islamica nel 1980, e tanti saluti agli scià.

Forse anche io avrei appoggiato questo cambiamento, forse poi me ne sarei pentito, però questo governo è l'unico degli ultimi duecento anni che ha portato riforme a favore della pancia della gente a discapito del portafoglio dei governanti.

Vogliamo parlare dei diritti civili?
Beh, è chiaro che quello è un altro discorso. Le leggi su droga, omosessualità, adulterio, sono a dir poco anacronistiche (pena di morte che poi viene eseguita, mica per scherzo). La situazione delle donne è un problema che solo parzialmente sta migliorando nel tempo.

E' anche vero che se questo governo riformista migliorerà la situazione economica allora avrà anche la forza per far passare riforme per ora bloccate dale autorità religiosa, ma per forza di cose i cambiamenti saranno lenti proprio per la forma dello stato.

Ritorniamo a noi: ottimo pranzo melanzane e riso. Il pomeriggio visitiamo insieme il palazzo Golestan, dove ci sono bellissimi palazzi del periodo Qagiaro, uno dei principali luoghi da visitare di Teheran, ci lasciamo per altri acquisti per trovarci a cena.
Non ci sono molte foto di Teheran, siamo soprattutto andati in giro a fare acquisti.

Io me ne vado a fare un giro nel quartiere nord, dove vive la borghesia. Palazzi liberty, bar e centri commerciali in stile occidentali. Ci sono anche mendicanti, non ne avevamo mai visti fuori da Teheran.

Cena pizza. Al nostro tavolo si siede una coppia ragazzo/ragazza della Svizzera, appena arrivati a Teheran
La sera a mezzanotte passata usciamo con un taxi, prenotato per noi dall'hotel, per fare un giro notturno della città.

La città è fondamentalmente abbastanza anonima. Vive sul commercio, e a negozi chiusi non offre granchè. Pochi sono i punti illuminati di particolare interesse, tra cui un paio di piazze. Carino il paesino di Darband, alle pendici delle montagne. Il tassista, che ci mette da ascolare in auto musica italiana (di cui ci chiede di tradurre alcune frasi in inglese), ci porta in alto in un punto panoramico da cui possiamo ammirare la città, immensa, illuminata. Parliamo di una città di oltre 50 km di diametro, che ha fermato la sua espansione solo addosso alle montagne, attraversata in lungo e in largo da autostrade costantemente ultratrafficate.

Bella Azadi Square, dove si sono svolte le più importanti storiche manifestazioni di piazza, con il simbolo di Teheran, un monumento alto oltre cinquanta metri a forma di porta/arco, al centro.

Si va a dormire alle tre di notte, molto bene, e ci si sveglia la mattina dopo le 9. Stiamo rientrando negli orari italiani.

23 mattina altri acquisti, poco da dire. Mauro riesce a trattare per un paio di ciabatte salvo scoprire poi che era un negozio di vendita all'ingrosso e gli regalano le ciabatte. A pranzo, sempre seguendo la guida della lonely, andiamo a mangiare in una bettolina in centro, affollatissima e dall'aspetto anonimo, e invece mangiamo non benissimo ma di più. Il pollo marinato che ho mangiato è qualcosa di strepitoso, forse il miglior pollo della mia vita. Mauro assaggia e concorda. Lui mangia trota.

Pomeriggio compere di Mauro, io passo in albergo a posare alcune cose e poi col metro vado a visitare uno dei parchi della città, a nord.

Ripeto: Teheran è un manicomio di traffico e persone, un delirio, una cosa angosciante. Attraversare la strada è pericoloso anzi una scommessa.
Andare a passaeggiare nel parco è stato importante per vedere la città da un altro punto di vista.

Attraverso un parco con le panchine e i sentierini su una collina, mediante un modernissimo ponte pedonale si accede alla collina di fronte. Il ponte, una tensostruttura su più livelli, contiene al piano inferiore un bar e una stradina con vari stand per mangiare, la parte sopra, panoramica, attraversa una caotica autostrada dal traffico bloccato (noi sopra in paradiso, sotto c'è l'inferno). A nord montagne di 4000 metri, a sud la città, a est il bosco, a ovest, sull'altra collina il nuovo parco. Anche qui tensostrutture, ristoranti, planetario, telescopio, mercato dei fiori, uno spettacolo. Qui è stata fatta una grande opera di riqualificazione urbana. Le persone passeggiano, pochissime le donne in nero, qui c'è la società bene.

A cena di troviamo in un ristorante azero nei pressi della stazione dei treni. Nella sala principale deve esserci una festa con un centinaio e più di persone invitate. Un gruppo musicale canta canzoni evidentemente molto conosciute, infatti il pubblico canta e applaude. Il cibo è strabuono, io riprendo il dizi, Mauro si è appassionato alle melanzane. Faccio anche un filmino del gruppo che suona, ne vale la pena.

Torno in hotel, vado a scrivere questo resoconto e mi faccio una partita a biliardino con un po' di giovinetti del nordeuropa e li rullo tutti.
Poi chiacchierata con il simpatico ragazzo che sta alla reception. Di cui riferisco alla fine.

Ultimo giorno: Mauro si sveglia prima per fare acquisti, io chiudo le formalità in albergo e dormo un po' di più. Ci troviamo per gli ultimi acquisti nei pressi del bazar. Oggi ho visto nel bazar la via dei venditori di coloranti e i negozi di etichette contraffatte (Nike, ecc.).
Siamo in albergo e tra poco si parte...
A presto.
Altre piccole cosette.
Autobus e metro.
Autobus boh, so solo che glu uomini non possono sedersi in fondo, nè andarci.
Metro, bellissimi, nuovi, in orario, perfettamente funzionanti. Anche qui gli uomini non possono andare nelle zone riservate alle donne.
Questa NON è una discriminazione nei confronti delle donne, ma è a loro vantaggio, come i parcheggi rosa vicino alle uscite nei parcheggi pubblici (anche a Udine).

L'affollamento nei mezzi pubblici è tale che il rischio è che le donne possano essere schiacciate o molestate dagli uomini, mentre in questo modo ciò non avviene. Alle donne che salgono nei vagoni misti viene offerto un posto a sedere o un posto d'angolo in piedi in modo da stare comode e non stare in mezzo alla ressa. I più giovani cedono il posto a sedere agli anziani. Ripeto: non è discriminazione nei confronti delle donne, ma è a loro vantaggio.

Velo.
Questa è discriminazione. Ma ancora peggio è l'obbligo delle maniche lunghe. I pantaloni lunghi sono obbligatori per tutti e due i sessi. Ma come si fa in un paese caldo a vietare di stare freschi?

Aggiungo anche che nei rarissimi casi (due in tutto il viaggio) in cui ho visto la donna camminare dietro l'uomo (comunque sempre in persone di una certa età) la situazione è veramente disturbante agli occhi di un occidentale.
Comunque la situazione non è quella descritta delle guide.

Mai abbiamo visto qualcuno dire qualcosa a una donna per il velo o il vestito, come forse accadeva anni fa. Una volta era vietato indossare abiti che facessero risaltare le forme del corpo. Oggi si vedono i fondamentalisti di destra con povere suore che fanno pena (e ancora di più se poco più che bambine), mentre la borghesia si permette il velo appoggiato solo sullo chignon, i capelli lunghi che escono sulla schiena (da sotto il fazzoletto che fa da velo), occhiali sopra il velo (anche questo era vietato, abiti coloratissimi e a vita stretta.

E' come se ci fossero due mondi distinti in contrapposizione, due popoli che condividono la stessa lingua ma non i valori di base. L'arcaico e il futuro insieme.

Anche i maschi si distinguono dal vestire, da quelli vestiti come noi a quelli con abiti dai colori tristi e dal taglio triste, anche se non è così facile come per le donne distinguere la categoria di appartenenza dei maschi dal vestire.

Chiacchierata con il ragazzo della reception, che ha 29 anni, di etnia azera:
Parliamo un po' di ragazze, lu mi chiede come sono le italiane e come pensano, dato che si era preso una cotta per una italiana che era stata nell'ostello, la mia risposta è top secret. Mi racconta della sua ex fidanzata e di come la società, estremamente repressiva, crei molte difficoltà nella formazione delle coppie (da cui il calo di natalità, oggi l'Iran è in decrescita demografica). Di come la sua ragazza, che in un'altra società sarebbe stata una brava ragazza, è stata cambiata al punto di considerare l'uomo non come compagno con cui passare la vita insieme ma come marito inserito in un contesto sociale e di rapporti codificati. Lui, che lavorando all'ostello e avendo studiato molto bene l'inglese (sì, ovviamente meglio di me), non riesce a sopportare questo tipo di mentalità, ormai preferisce le ragazze che vengono da un'altro tipo di società. Mi racconta di come Khomeini con la rivoluzione ha decapitato la classe acculturata del paese che voleva una democrazia (e non solo a parole) e di come le persone avevano ragione a volere la rivoluzione ma così sono andate verso il peggio e non verso il meglio. E' stato appoggiato nella rivoluzione non solo dal popolino di estrema destra, ma anche dei commercianti a cui ha promesso sviluppo economico.